L’on.Lupi in una lettera che invia al direttore del il Sussidiario.net sostiene di non trovare il Gender nel comma 16 della riforma scolastica. Assieme a lui tanti altri. Filippo Savarese, portavoce della Manif Pour Tous Italia, risponde: evidentemente non ci siamo ben spiegati noi!
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Gentile direttore,
ho letto con interesse il contributo di Maurizio Lupi sulla polemica sorta intorno alla fiducia votata dal Nuovo Centrodestra al Governo sulla riforma della scuola, che al comma 16 dispone la presenza nei Piani dell’Offerta Formativa scolastica, in chiave antidiscriminatoria, di programmi di sensibilizzazione su questioni cosiddette “di genere”.
Confesso che sono rimasto piuttosto interdetto dal tenore del chiarimento. Mi spiego. Importanti esponenti del Ncd, dal coordinatore nazionale allo stesso On. Lupi, sabato 20 giugno si presentavano spontaneamente in piazza San Giovanni esprimendo la loro personale adesione alle istanze lì manifestate (espellere l’ideologia Gender dalle scuole). Il segretario Alfano provvedeva intanto ad assicurare la rappresentanza politica di quelle stesse istanze in Parlamento. Com’è noto, seguiva il tentativo disperato del Ncd di emendare in extremis il suddetto comma 16, ricevendo però un impedimento procedurale da parte del Presidente Grasso. L’Ncd (escluso il sen. Giovanardi) votava allora la fiducia al Governo sull’assicurazione verbale da parte del Ministro Giannini di un futuro potenziamento delle procedure di consenso informato della famiglia per attività extracurricolari su temi… del genere.
Questa vicenda, ed è il motivo della polemica, ha suscitato un diffuso scontento nei partecipanti alla manifestazione del 20 giugno. L’immagine di un partito che si era presentato in massima rappresentanza in piazza e che poi votava la fiducia su una legge contestata da quella stessa piazza ha, mediaticamente, sortito i suoi effetti inevitabilmente negativi. Stante il segnale di ben maggiore e più clamorosa contrarietà che credo sarebbe dovuto giungere dai dirigenti del Ncd sul diniego procedurale del Presidente Grasso (chi può credere che la volontà del Governo, cioè di Renzi, non avrebbe potuto portare Grasso a più miti consigli?), stante ciò, mi sento personalmente persuaso unicamente dalle ragioni addotte sul “caso” da Eugenia Roccella, e cioè dal fatto che se il Governo fosse ipoteticamente andato in crisi sul comma 16, noi oggi ci troveremmo davanti allo scenario di una nuova maggioranza rifondata sui voti di ex Forza Italia ed ex 5 Stelle; una piattaforma tendenzialmente laicista che avrebbe compromesso in modo letale le speranza di incidere sul corso del ddl Cirinnà sui matrimoni gay (detti “unioni civili”). Sarebbe andata proprio così? Non lo so, ma lo scenario è talmente inquietante da far impallidire al solo rischio.
A parte queste considerazioni di natura strategica, però, non posso credere che l’On. Lupi si trovi ora ad accusare la piazza di allucinazione collettiva, affermando che nel comma 16 non si trova traccia di alcun pericolo ideologico per l’istruzione dei nostri figli, fratelli, nipoti, come le associazioni e gli organizzatori del 20 giugno stanno denunciando. Qui bisogna chiarirsi. Se è una questione di strategia per il maggior bene di beni maggiori (il matrimonio) se ne può discutere. Ma se non è una questione di strategia, se non siamo d’accordo sul merito di quanto denunciato in piazza il 20 giugno, bisogna allora prenderne atto in modo molto chiaro. Secondo Lupi, «le parole incriminate, che inducono alcuni all’accusa di cedimento sulla teoria gender, sono “prevenzione della violenza di genere”», ma, continua, «combattere le violenze di genere non vuol dire sposare la teoria del gender, per la quale l’identità di genere non è riconosciuta per un dato naturale ma scelta dal soggetto». Tutto ciò può anche essere condivisibile in linea di massima, posto che saremo comunque difficilmente in grado di far valere questa opinione come interpretazione autentica sul tenore di “violenza di genere” nei vari Consigli d’Istituto che discuteranno il contenuto dei POF.
Al di là di questo, il problema che mi sembra grave, e che evidentemente è dovuto ad una nostra colpa comunicativa, è che non è affatto nell’espressione citata da Lupi il buco nero nel patto educativo tra scuola e famiglia che abbiamo denunciato dopo il voto in Senato come Manif Pour Tous Italia. Non è l’espressione “prevenzione alla violenza di genere” il problema del testo. Come l’Onorevole sa bene, perché lo cita nel suo intervento, il comma 16 rimanda a sua volta all’art. 5, comma 2, del d.l. n. 93/2013 convertito dalla l. n. 119/2013. A sua volta ancora, il citato articolo 5 rimanda all’applicazione nelle scuole dei principi espressi nel “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere” (presentato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dal Dipartimento delle Pari Opportunità nel maggio scorso). Ebbene, il paragrafo 5.2 di questo Piano, nuova bussola governativa per tutto quanto entrerà di nuovo a livello nazionale nelle nostre scuole grazie alla legittimazione espressa del comma 16 della riforma sulla scuola, tanto predica: “Obiettivo primario deve essere quello di educare alla parità e al rispetto delle differenze, in particolare superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini, ragazzi e ragazze, bambine e bambini, sia attraverso la formazione del personale della scuola e dei docenti, sia mediante l’inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa”.
Assai difficilmente si può sostenere che questo tipo di “approccio di genere” riguardi in realtà esclusivamente la prevenzione o il contrasto a casi di pratica discriminazione e violenza sessuale o psicologica dei ragazzi negli ambienti scolastici. È letteralmente palese che si tratta invece di un approccio filosofico e antropologico globale che deve preoccuparsi di rimodulare e anzi rimodellare completamente i termini del discorso sull’identità sessuale dell’essere umano in relazione alla sua “identità di genere”. Diciamolo cioè chiaramente: il contenuto del Piano, ripreso dal comma 16, è oltre ogni ragionevole dubbio una porta spalancata sull’introduzione nelle scuole di ogni ordine e grado dell’ideologia Gender. Su questo dobbiamo essere assolutamente d’accordo con chi si è spontaneamente offerto di rappresentare le istanze della piazza del 20 giugno: che cioè le abbia, prima che condivise, innanzitutto comprese.
Per quanto detto, il comma 16 della riforma scolastica viola la libertà educativa della famiglia. In quanto tale, non è negoziabile con le promesse del Ministro di potenziare gli strumenti del consenso informato. Non solo per questioni di sostanza, ma anche perché questo costringe ancor più le famiglie in una già estenuante posizione difensiva rispetto agli attacchi ideologici subiti nelle scuole dei loro figli. Un conto è avere in mano leggi che impediscano l’ingresso nelle scuole di queste teorie, altro conto avere in mano una modulistica con cui inseguire capillarmente su tutto il territorio nazionale queste attività per poter provare ad arginarle (spesso a costo di penose diatribe tra scuola e genitori, di cui possono far le spese i bambini). Né vale certo a mitigare il danno provocato da questa diposizione affermare che “tanto queste cose già accadono”. Proprio perché già accadono dovremmo andare tutti nella direzione di contrastarle e non di agevolarle. Ripeto però che ancor prima di contrastarle serve davvero saperle riconoscere.
Cordialmente
Filippo Savarese
portavoce de La Manif Pour Tous Italia