I FANTOMATICI “100.000 FIGLI DI COPPIE GAY”

Trattando di “omogenitorialità” – cioè del fenomeno per cui coppie di persone dello sesso si ritrovano a crescere figli avuti da precedenti rapporti eterosessuali o tramite PMA eterologa o utero in affitto – è assolutamente inevitabile imbattersi in una sorta di numero magico: 100.000.

Non c’è articolo, intervista, saggio, video, servizio, blog, post, tweet che trattando il tema non tiri fuori i centomila fantomatici “figli di coppie gay” in Italia. Il momento è precisamente quello in cui si dice: anche se non sei d’accordo col fatto che un bambino possa avere “due papà” o “due mamme”, nella realtà pratica, concreta e quotidiana questo fenomeno è già largamente diffuso, ed è quindi degno di tutela per questioni di giustizia sociale. Per la serie: il mondo cambia e tu non puoi farci niente. Il tentativo è quello di metterti con le spalle al muro della Storia. Quello che segue però è una ridicola mitragliata di pallottole di carta.

A parte il fatto che non è la diffusione di una realtà che la giustifica in sé, e quindi non può tantomeno bastare a giustificarne il riconoscimento giuridico se a prescindere dalla “quantità” c’è un problema di “qualità”, a parte questo discorso, c’è da dire che questa cifra è assolutamente inventata.

Semmai dovesse rifilarvela qualcuno con cui state discutendo sul tema, iniziate esigendo la fonte di questo dato. Nell’esperienza di chi scrive la carica dei Centomila è saltata fuori in decide di discussioni con attivisti, “esperti” e simpatizzanti delle cause Lgbt. Nessuno – dicasi nessuno – ha saputo dare tracciabilità di questa cifra. Il che ci fa già capire come si sia diffusa per la potenza del passaparola mediatico. Tam-tam. L’ultima volta mi è capitato nell’Aula Magna del liceo romano Giulio Cesare, dove ho discusso di “matrimonio e adozione gay” col presidente del GayCenter Fabrizio Marrazzo davanti a circa duecento studenti.

Al risuonare della fatidica cifra mi si è sciolto il cuore al pensiero che avrei dovuto mettere in forte imbarazzo il mio interlocutore, poiché ero certo che non avesse la benché minima idea della fonte di quel numero. Infatti, a domanda, nessuna risposta. Qualche minuto dopo una collega dell’Arcigay gli passa il cellulare con la pagina di Wikipedia dedicata all’omogenitorialità, in cui ovviamente il primo paragrafo inizia così: “In Italia, i bambini con genitori omosessuali sono circa 100.000“. Fai per cliccare sulla nota che rimandi alla fonte del dato ma – ops! – non c’è nota né fonte. Nemmeno qui, che disdetta.

C’è però un’origine al tutto, e anche Wikipedia vi fa un (ovviamente) impreciso accenno.

Nel 2005 – dieci anni fa – l’Arcigay ha attuato il progetto “Survey nazionale su stato di salute, comportamenti protettivi e percezione del rischio HIV nella popolazione omo-bisessuale” (detto anche “Modi Di“), col patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità (cioè con 40.000€ di finanziamento pubblico). A parte i fondi, l’intero progetto è stato gestito dall’Arcigay e diretto dal suo “responsabile salute”, il sociologo Raffaele Lelleri, più una serie non meglio identificata di “vari referenti Arcigay” e “équipes scientifiche“. L’associazione ha raccolto circa 10.000 questionari anonimi (l’80% compilati via internet) e ne ha usati 6.774 per costituire il campione di riferimento secondo i soliti principali parametri (sesso, età, localizzazione).

Il metodo di campionamento statistico utilizzato è quello cosiddetto “a valanga” (snowball): si parte da una serie di contatti mirati iniziali e si chiede a loro di rigirare il questionario ad un’altra serie di loro contatti che possono essere ricompresi nel target richiesto dall’indagine. Questa modalità è usata per intercettare fasce di popolazione che difficilmente potrebbero essere studiate secondo i metodi statistici più affermati, ma proprio per questo vi è una inevitabile carenza in molti dei presupposti giustificativi delle nozioni convenzionali di selezione casuale e di rappresentatività. In altre parole: l’esigenza di formarsi un’idea approssimativa riguardo una realtà su cui si hanno in assoluto pochi dati sacrifica l’affidabilità statistica generale dello studio. E’ evidente infatti che nel medoto “a valanga” il campione rilevato dipende in modo determinante da come gestiscono il “passaparola” i primi contatti mirati, da chi siano questi stessi e dalle caratteristiche omogenee delle loro frequentazioni.

Ciò detto sull’affidabilità generale dello studio – che rimane ovviamente un importante spunto di conoscenza circa un fenomeno di grande rilievo pubblico come quello della prevenzione dell’HIV nella popolazione omosessuale – quel che ci interessa in questa sede è questo passaggio:

MODI DI

Come si può leggere direttamente dalla fonte, l’indagine, al netto dei suoi forti limiti strutturali, si limita a suggerire il dato per cui circa il 5% della popolazione omosessuale italiana avrebbe almeno un figlio. Secondo il censimento Istat del 2011, le persone che si definiscono omosessuali in Italia sono circa 1 milione. Ne deriva che circa 50.000 persone in Italia hanno un genitore omosessuale. Per arrivare a 100.000 bisogna affermare che il censimento ha una quota di “non dichiarato” pari al 100% di quella invece dichiarata. Statisticamente arduo da sostenere. Anche se fossero 100.000, comunque, si tratterebbe ugualmente di figli che hanno il padre o la madre che si sono dichiarati omosessuali al momento del sondaggio, e non di figli che vivono in coppie gay. Eppure questo è quello che si sostiene incredibilmente oggi.

La vera e propria mutazione di dati apparentemente chiari nella loro semplicità non ha risparmiato nemmeno l’instancabile attività divulgativa su questi temi della filosofa e bioeticista Chiara Lalli, in genere assai accorta alla questione della coerenza – e dunque onestà – argomentativa nei suoi diversi elementi discorsivi. Scrive Lalli sul n°33 della rivista “Darwin”:

LALLI

Lalli parte bene citando correttamente il report quando afferma che le percentuali richiamate riguardano persone omosessuali che “hanno almeno un figlio”, e non il numero di figli che vivono in una coppia di genitori gay; ma poi conclude comunque inspiegabilmente con i fantomatici “centomila figli cresciuti in una famiglia gay”. Avere il padre o la madre omosessuale significa “crescere in una famiglia gay”? Anche se un figlio avesse sia il padre che la madre omosessuali, comunque non si tratterebbe della fattispecie di “coppia gay” cui ci si intende riferire quando si parla di omogenitorialità (che riguarda l’uguaglianza di sesso nella coppia, non l’orientamento sessuale).

Lalli compie peraltro un secondo errore di citazione, quando scrive che ad avere almeno un figlio oltre i 40 anni sono il 17,7% dei gay e il 20,5% delle lesbiche. Come si vede nella tabella riportata più sopra, queste percentuali non si riferiscono a gay e lesbiche, ma a “MSM” e “FSF”. Di che si tratta?

Passo indietro. Di chi sono state accettate le risposte al questionario? Chi ha risposto? Sempre riportando direttamente il report conclusivo, apprendiamo quanto segue:

FMF

‘MSM’ e ‘FSF” significa “Male seeking male” (maschi in cerca di maschi) e “Female seeking female” (femmine in cerca di femmine), ed è la categoria che non comprende solo chi si definisce gay o lesbica, ma chi, a prescindere da questioni di stabile orientamento sessuale, ha avuto almeno un rapporto sessuale con una persona dello stesso sesso nell’ultimo periodo. Ecco perché il numero di persone che hanno dichiarato di avere almeno un figlio è più alto in questa categoria, perché non comprende solo gay o lesbiche secondo la tradizionale identificazione Lgbt.

Insomma, la questione dei “centomila figli di famiglie gay” è una vera e propria nube di falsità che si aggira ovunque si parli di omogenitorialità per oscurare la realtà dei fatti. Una nube che ha l’ovvio intento di creare nel pubblico la sensazione di un fenomeno ormai diffuso e praticato che non si può non dotare di riconoscimento giuridico.

Ammettendo senza concedere un certo grado di attendibilità alla ricerca “Modi Di”, l’’affermazione più prudentemente corrispondente al verosimile è che (forse) circa 50.000 persone in Italia potrebbero avere almeno un genitore omosessuale; ma si tratterebbe comunque di persone che hanno un padre e una madre.

É semplicemente fantastico che gli attivisti Lgbt in 10 anni si siano da una parte reinventati di sana pianta gli esiti di una loro indagine, e dall’altra si siano proprio dimenticati di averla mai condotta! Meraviglioso.

Tanto per capire quanto sballato possa essere dire che in Italia ci sono “centomila figli di coppie gay”, basta pensare che negli Stati Uniti d’America questi figli sono considerati, secondo studi ben più fondati,  nel numero di circa 200mila. Su 318 milioni di abitanti. In Italia (in cui tra l’altro manca pure l’accesso alla PMA o alla surrogata per queste coppie) 100mila su 59 milioni. Fate un po’ voi.

Non sappiamo proprio niente su figli che vivano in coppie di persone dello stesso sesso? Qualcosa sì. Abbiamo due dati, tutti e due di fonti imparziali se non parziali in senso opposto a quello presunto dalle associazioni Lgbt.

Il primo è il censimento Istat del 2013, che ha rintracciato in Italia 529 minori attualmente conviventi in coppie di persone dello stesso sesso.

Il secondo è il numero degli iscritti all’associazione “Famiglie Arcobaleno”, che comprende le coppie gay che rivendicano ufficialmente e pubblicamente il diritto di veder legalizzata la loro condizione di omogenitorialità (sono i primi sponsor dei corsi sull’ideologia gender nelle scuole). Fino a maggio scorso la presidente Giuseppina La Delfa dichiarava la presenza nelle coppie iscritte di 300 figli.

Trecento.

No, non è Sparta. È Disneyland, “dove vivono i sogni”. E le balle.

- Filippo Savarese
portavoce La Manif Pour Tous Italia
manifff

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