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A SAN GIOVANNI E’ NATO UN POPOLO CHE DEVE CAMMINARE

Pubblichiamo l’articolo di Filippo Savarese, portavoce de La Manif Pour Tous Italia, pubblicato ieri su La Croce Quotidiano


Noi fummo da secoli | calpesti, derisi, | perché non siam popolo, | perché siam divisi. | Raccolgaci un’unica | bandiera, una speme: | di fonderci insieme | già l’ora suonò.

Si deve all’ultimo e ottimo articolo di Giuseppe Rusconi sul blog “Rossoporpora”, cronaca dell’oceanica manifestazione di sabato scorso in Piazza San Giovanni, la creazione di un link ideale tra i moti popolari di ispirazione risorgimentale e quelli che oggi riempiono le piazze per i diritti naturali della famiglia e dei nascituri di crescere in braccio alla prima verità sulla loro esistenza, in braccio cioè a mamma e papà. Al di là dei giudizi storici sui tempi e le ideologie che furono, c’è solo da sperare che in questi nostri giorni si sia in presenza di un vero e proprio “risorgimento antropologico” delle famiglie, animato da gente comune di comune buon senso in difesa delle più elementari verità sull’uomo.

La grande manifestazione di Piazza San Giovanni, in cui quasi un milione di comuni cittadini si sono radunati per gridare a una sola voce “Stop Gender, difendiamo i nostri figli”, è infatti la prova che almeno o proprio nella secolarizzata Europa gran parte del popolo non vuole sottostare ai diktat del pensiero unico dominante, né di vedersi relegata “dalla parte sbagliata della storia” sol perché continua a guardare alla famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, in virtù della sua (potenziale) capacità procreativa. Con l’adunata di sabato l’Italia entra a pieno titolo nella grande partita internazionale tra chi crede che i figli siano soggetti titolari di diritti inalienabili – tra cui conoscere i propri genitori e crescere con loro – e chi li ritiene invece oggetto di un desiderio di realizzazione e forse emancipazione personale, che può essere soddisfatto in ogni modo e, soprattutto, ad ogni costo.

_MG_2797Non è ovviamente bene radicalizzarsi in un’ottica di scontro apocalittico o anche solo di goliardico derby tra fazioni opposte, ma è indubbio che se c’è chi lavora alacremente giorno e notte per la decostruzione dei più elementari fondamenti della nostra civiltà, così com’essa è progredita nella promozione della dignità umana, ci deve essere chi altrettanto alacremente giorno e notte lavora per rinsaldare quegli stessi fondamenti e rilanciarne l’importanza, senza paura di essere manifestamente “contro” ciò che è sbagliato e dannoso quando questo deve essere messo in chiaro. Né bisogna essere ipocriti sul senso delle grandi manifestazioni di piazza; troppo spesso ci si lascia intimidire da chi vorrebbe impostare i termini di un dialogo in senso esclusivamente accomodante o compromissorio. No, le grandi manifestazioni di piazza sono e devono essere per loro natura grandi prove di forza, occasioni finalizzate alla dimostrazione che opinioni e idee che si sostengono non sono nuvoloni passeggeri, capaci di temporanei acquazzoni, ma camminano invece sulle gambe di milioni di uomini e donne concretamente incardinati nella storia. Quando centinaia di migliaia di persone accorrono da ogni parte del Paese per radunarsi insieme in un unico luogo, con costi e sacrifici tutt’altro che irrilevanti, non lo fanno per scendere a patti con chi vorrebbe addirittura impedirgli per legge di esprimere le loro opinioni, ma per dimostrare che esistono, che sono tantissime e che fanno anche loro parte degli equilibri democratici.

Proprio qui sta il senso della manifestazione di sabato a Piazza San Giovanni: dimostrare che quanto rappresentato quotidianamente dalla grande stampa, dai media e da tutti i profeti del mitizzato, inevitabile progresso sociale, per l’appunto non rappresenta affatto il comune sentire del popolo. Un popolo che a Roma si è riunito senza forse nemmeno sapere di esserlo, ma che si è sicuramente scoperto tale in quel pomeriggio che passerà alla storia. Un popolo che deve ancora fare molta strada per conoscere se stesso, chi lo avversa e i pericoli contro cui deve vigorosamente alzare la voce per il bene dei più indifesi.

Come è stato ricordato sabato dal palco, se l’ideologia Gender si è fatta strumento politico di riforma sociale solo negli ultimi decenni, le radici dell’indifferentismo sessuale si ramificano in percorsi filosofici risalenti a diversi secoli fa, di cui solo oggi vediamo e soprattutto tocchiamo con mano gli sviluppi pratici. In tal senso si può dire di essere in ritardo di qualche centinaio di anni, ma ricordandosi pur sempre che si tratta di colossali costruzioni ideologiche, castelli di carte contro le quali la praticità del reale non ha bisogno di molto tempo per riorganizzarsi, essendo ciò che è vero per sua natura destinato a prevalere su ciò che è falso.

Scriveva Edmund Burke: “quando i malvagi si uniscono, gli onesti devono associarsi”. Non siamo onesti per nostra natura né è malvagio per la sua chi sostiene posizioni contrarie alle nostre. Tuttavia la ragione ci porta a vedere che ci sono beni superiori in questa umanità che meritano di essere protetti e conservati di generazione in generazione; ed è il servizio disinteressato a questi beni che ci rende sicuri di star combattendo una buona battaglia. Non c’è paura nell’usare questa parola: battaglia. Quando si combatte per la dignità della persona, sempre come fine e mai come mezzo, si ha l’inestimabile vantaggio psicologico di una certezza assoluta: non è possibile per noi fare alcuna vittima, perché i nostri stessi interlocutori sono dotati di quella dignità assoluta per il maggior bene della quale noi sfoderiamo le armi invisibili della ragione e della perseveranza. Difendendo la dignità della persona, di cui la famiglia è prima e naturale garante, noi difendiamo anche la dignità personale di chi ci avversa.

20062015-IMG_5936Il popolo di piazza San Giovanni si è incontrato, e deve ora costituirsi. Non si tratta di scegliere insegne né aprire a tesseramenti. Si tratta di rimanere in un contatto diffuso e permanente su tutto il territorio italiano. Si tratta di comprendere la portata, anche locale, dell’ideologia Gender e di reagire così in modo spontaneamente coordinato. Bisogna diventare non solo un popolo manifestante, ma anche un popolo consumatore, un popolo telespettatore e anche un popolo elettore. Un popolo che sappia decidere in modo concorde e far sentire in modo unitario la propria voce. Senza stucchevole omologazione, ma con la consapevolezza di essere un corpo che, solo se unito, può centrare l’obiettivo per cui si è costituito tale: salvaguardare i diritti naturali della famiglia e quelli dei nascituri di poterne godere, innanzitutto conoscendo l’amore dell’uomo e della donna da cui ognuno di noi deve la premessa di ogni libertà e autodeterminazione. La propria esistenza.

Noi, proprio come Chesterton, non crediamo ad un fato che si abbatte sull’uomo qualsiasi cosa egli faccia; noi crediamo in un fato che vi si abbatte a meno che egli non faccia nulla. Sabato scorso a Piazza San Giovanni il popolo ha fatto la sua parte, clamorosa e ingombrante, in difesa dell’antropologia della famiglia. Il fato dovrà prenderne inevitabilmente atto. Che gli piaccia o no, la storia siamo noi.

Filippo Savarese, portavoce La Manif Pour Tous Italia

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LA GENITORIALITA’, PLATONE E LA NUOVA MORALE

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«Mentre l’opinione pubblica è concentrata sulle contrastanti notizie provenienti dalla politica e dall’antipolitica, si stanno realizzando, per quanto riguarda i rapporti privati, riforme di forte incisività. Si tratta di portare a compimento il Nuovo diritto di famiglia, varato nel 1975, che un legislatore definì allora: “Una legge di oggi che diventerà la morale di domani”».

Questo è l’incipit di un breve ma denso e importantissimo articolo di Silvia Vegetti Finzi (CdS, 15/12/2013, p. 37) intitolato “Addio per legge al padre padrone. I figli sono di chi li cresce e li educa”.

L’articolo è passato in realtà abbastanza inosservato. E invece merita la massima attenzione, veramente una sorta di attenta esegesi che va ben al di là della semplice questione dei figli nati fuori dal matrimonio o anche di quella del cosiddetto “padre padrone”.

L’autrice ci palesa in poche righe una delle più grandi, devastanti e profonde rivoluzioni in atto sotto i nostri occhi, destinata a sovvertire per sempre l’ordine naturale del creato, creando a sua volta “la morale di domani”, per l’appunto. Come vedremo ora, non è neanche più questione di educarci al “sesso libero” in sé, o al gusto del rapporto con lo stesso sesso, con i bambini o magari con le bestie.

Qui si va oltre, è in gioco qualcosa che va al di là della morale per incidere direttamente sul DNA del creato stesso, se così si può dire: è in gioco il concetto di genitore e figlio, la “genitorialità”, per usare un termine rivoluzionario.

Anzitutto è da sottolineare proprio la prima riga dell’articolo. La Vegetti Finzi ci palesa la prima grande verità preliminare: mentre tutti pensano alle pur importanti e in certi casi imprescindibili questioni economiche (o magari alla legge elettorale), “altri” stanno pensando a “transustanziare” la famiglia stessa e il mondo in cui dovranno vivere i nostri figli. E in che maniera? Procedendo «attraverso mutamenti lessicali destinati a provocare mutamenti reali su nostro modo di vivere insieme e sulla costruzione dell’identità personale». Ecco perché niente più figli “legittimi”, “naturali”, “adottivi”: queste parole saranno cancellate perché deve essere cancellato il significato stesso che sottintendono, il mondo che sottintendono, la morale che le presuppone, in quanto ora la “genitorialità” si fonderà «sulla responsabilità piuttosto che sul potere». E sul sangue, aggiungiamo noi. I figli non appartengono più a chi li mette al mondo, ma «a chi li riconosce, li cresce e li educa adeguatamente».

Da anni, decenni, chi scrive aveva sempre pensato che dietro i sempre più numerosi casi di esproprio da parte dello Stato dei figli a genitori violenti o disumani (o presentati tali) si celasse la volontà di distruzione della famiglia. Oggi ci siamo arrivati e la maschera sta per essere gettata: «tutti hanno diritto ai medesimi rapporti di parentela» e «poiché la famiglia è un sistema, nulla sarà come prima» e si arriverà infine appunto «a un nuovo quadro antropologico e, di conseguenza, a una nuova morale».

L’autrice conclude ricordando peraltro che se non vi sarà più ovviamente il padre autoritario della società premoderna, non vi dovrà più essere nemmeno il “genitore-amico” della modernità (e questo appare l’unico lato positivo, interessante e indiretta ammissione dell’idiozia pedagogica odierna), ma si richiederà «a entrambi i genitori una autorevolezza fondata sul riconoscimento reciproco, confermato dalla comunità».

Mi soffermo – fra tutti gli innumerevoli possibili spunti di approfondimento – solo su quest’ultima asserzione. Che vuol dire “confermato dalla comunità”? Forse che si è padre o madre solo perché e nella misura in cui e fino a quando la “comunità” me lo riconosce e concede? E chi è la “comunità”? Lo Stato? La magistratura? I “comizi popolari”? E se un genitore non dovesse essere riconosciuto come padre di chi ha generato, o se un giorno perdesse tale riconoscimento, chi sarebbe il padre del “generato”?

A questa ultima terrificante domanda, risponde la Vegetti Finzi nella conclusione del suo articolo: «Ogni adulto in quanto tale» sarà «responsabile del benessere e della crescita delle nuove generazioni».

Ecco la nuova morale, l’ultimo passo della rivoluzione antropologica. Tutti saremo figli di tutti e tutti saranno genitori di tutti. Pertanto, non esisteranno più la figura del padre e della madre (e pertanto qui si va oltre anche all’affidamento di bambini a coppie omosessuali), perché, come insegnano in Spagna, quando si è “todos caballeros” nessuno è più cavaliere. E non saremo quindi neanche più figli, perché non avremo più genitori.

Come dicevo, qui si va ben al di là delle follie omosessualiste, pedofiliste o bestialiste. Si sta distruggendo “materialmente” la cellula su cui si fonda la società umana. È come se ad Aristotele si volesse sostituire Platone. Ma non il Platone sessantenne del Politico o quello ottantenne de Le Leggi, uomo anziano e poi vecchio che è stato e sarà fondamento della civiltà occidentale, ma il Platone quarantenne de La Repubblica, quello che si studia banalmente sui banchi di scuola.

Ce lo ricordiamo? Atene ha perso la guerra con Sparta a causa delle lacerazioni sociali interiori, a loro volta causate dall’invidia dei demagoghi verso ricchi e potenti. Quale può essere allora lo Stato ideale fondato sull’armonia? Uno Stato in cui gli uomini con l’anima d’oro (i reggenti-filosofi che fondano la loro vita sul Logos dell’anima razionale) e con l’anima d’argento (i guardiani-militari, che fondano la loro vita sulla parte irascibile dell’anima) non devono più possedere alcuna forma di proprietà privata allo scopo di raggiungere l’uguaglianza assoluta e perpetua, al punto tale che dovranno vivere in comune, in caserme comuni, con donne comuni, e, conclude Platone, con figli comuni, in quanto un figlio costituirebbe “proprietà privata” e quindi disuguaglianza. A tal fine, occorrerà strappare i figli appena nati dalle madri, così che queste mai potranno riconoscerli e tutti si sentiranno genitori di tutti e figli al contempo di tutti.

È il comunismo platonico, il cui scopo dichiarato era la scomparsa dell’invidia sociale, almeno fra le classi con responsabilità politica e militare (tutto il resto del popolo, per Platone quarantenne, aveva l’anima di bronzo, e viveva servo dell’anima concupiscibile, e, in quanto tale, non poteva rinunciare alla famiglia e una limitata proprietà privata).

La Rivoluzione è un mostro che si rigenera di continuo cambiando progressivamente uomini, strumenti, progetti e anche idee, in parte. Ma c’è una cosa che non può cambiare: ed è il suo motore inesauribile, la struttura della sua stessa esistenza: l’invidia. L’invidia che odia ogni forma possibile e immaginabile di disuguaglianza e ha come progetto immutabile la realizzazione dell’uguaglianza perfetta, mediante la distruzione di ogni diversità, fino a quelle più strutturali, come i generi naturali (ecologismo), come la famiglia, e come i sessi, o come l’intelligenza, o la salute stessa.  E odiando ogni diversità, odia il mondo stesso, che è stato strutturalmente creato da Dio gerarchicamente. E lo odia perché odia Dio, fonte di ogni gerarchica differenza e al contempo Padre comune di tutto ciò che esiste.

L’inferno in terra ci si sta preparando, proprio mentre noi, affamati da governi e banche complici, ci dibattiamo preoccupati della legge elettorale, di Renzi, delle donne o del cane di Berlusconi e dell’IMU. O, magari, ci sentiamo dire che il più grande male del mondo di oggi sono gli anziani abbandonati e i giovani disoccupati.

Un giorno, se non spezziamo la secolare catena dell’autodistruzione, non ci saranno più neanche i giovani e gli anziani, come non ci saranno più i figli e i genitori, né tanto meno case private su cui pagare l’IMU né lavoro personale. Ma ci sarà il mondo del film “Metropolis”.

Il tempo vola sotto i nostri piedi, la Rivoluzione gnostica e ugualitaria sta andando verso le sue più estreme conseguenze: è tempo che ce ne rendiamo conto, tutti insieme, aprendo gli occhi della mente e del cuore alla realtà come essa è, e, al contempo, spalancando le porte della nostra Fede alla Speranza incrollabile e certissima che il “capo” della Rivoluzione, fonte di ogni odio, sarà schiacciato inesorabilmente da Colei che tutto può in Dio ed è Madre della Carità, con il servizio di coloro fra gli uomini che avranno compiuto la loro scelta di campo, in obbedienza gerarchica e in carità di intenti e azioni, in questi giorni in cui chi non sceglie ha già scelto.

 di Massimo Viglione – 31/12/2011

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ti scriviamo per invitarti ad aderire alla seguente iniziativa su CitizenGO, a sostegno della famiglia, della libertà di opinione e della libertà educativa (http://www.citizengo.org/it/1122-supporto-famiglia).

Ci rivolgiamo alle massime cariche dello Stato (Presidente della Repubblica e presidenti di Camera e Senato) e ai presidenti dei gruppi parlamentari dei due rami del Parlamento, chiedendo un impegno legislativo a tutela della famiglia fondata dal matrimonio tra uomo e donna. Questi interventi legislativi sono ancora più urgenti in un momento in cui alcuni disegni di legge attualmente in discussione (come la cosiddetta “legge contro l’omofobia”) rappresentano un tentativo di liquidare l’istutizione della famiglia autentica.

Inoltre, tale tipo di provvedimenti rischia seriamente di non rispettare la libertà di opinione e di credo religioso di chi non intende attribuire a unioni differenti dalla famiglia gli stessi dispositivi giuridici (ad esempio, l’adozione) riservati a essa. Infine, come è evidente dalla diffusione di documenti e linee guida a livello di istituzioni europee e internazionali, è urgente riaffermare la libertà costituzionale di educazione dei genitori, che rischia di essere negata in ambiti delicati dello sviluppo del bambino (come nel caso dell’insegnamento obbligatorio dell’educazione sessuale).

In un momento di evidente crisi della politica italiana, invitiamo i rappresentatnti delle istituzioni e dei partiti a non dimenticare l’importanza sociale ed etica della famiglia e ad adoperarsi in sede parlamentare per la sua difesa e promozione e non contro di essa. Se desideri unirti all’appello, ti invito a sottoscrivere e diffondere tra i tuoi contatti questa petizione (http://www.citizengo.org/it/1122-supporto-famiglia).

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