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Agire sui piccoli per cambiare i grandi di domani: iI gender-brainwaishing ai bambini veneziani

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La teoria di genere si insegna sui banchi di scuola, e si supera. E’ iniziato lo scorso 22 ottobre nell’Istituto Gritti di Mestre il progetto formativo “A proposito di genere”, promosso dalla Commissione provinciale per le Pari Opportunità tra Uomo e Donna in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Territoriale di Venezia, e rivolto a tutti gli insegnanti degli istituti comprensivi del territorio veneto. L’obiettivo – si legge nel testo del progetto – “non è tanto quello di annullare gli stereotipi, cosa peraltro impossibile, ma quello di acquisire la capacità di coglierli e saperne andare oltre”, imparare a relazionarsi con l’altro. Il punto di partenza di un percorso che impegnerà i docenti fino allafine di aprile del 2014 è la riflessione personale, l’acquisizione di consapevolezza sull’influenza degli stereotipi di genere nella pratica professionale. Da qui si articolano i quattro moduli formativi, che puntano ad analizzare gli stereotipi di genere nella pratica dell’insegnamento, e nei materiali didattici della scuola: tre incontri teorici e due incontri progettuali, per sviluppare infine “un’attività o di un percorso educativo “antistereotipo di genere” che potranno realizzare in classe”.

Un percorso di educazione, insomma. Un cammino che punta a formare nuove menti, e nuove mentalità, cancellando quello che si è acquisito e conosciuto come naturale, e che partendo dalla (ri)formazione degli insegnanti – e attraverso la rivisitazione critica di libri di testo, fiabe, filmati -punta a plasmare le idee dei più giovani. Anzi, dei bambini, perché nei criteri di selezione dei partecipanti al progetto, si legge che “la distribuzione tra i diversi ordini scolastici darà precedenza alle scuole infanzia e primaria”. Sono così i più piccoli i primi destinatari di questa nuova operazione di riconsiderazione della realtà; sono loro gli inconsapevoli protagonisti di un percorso pericoloso, chepunta ad affermare la teoria di genere come pensiero unico, e mostra le sue contraddizioni nel proporre stereotipi, nel crearne di nuovi, per poi pretendere di annullarli.

Un percorso che è solo una delle iniziative sulla diffusione della teoria di genere intrapresa negli ultimi anni dall’Ufficio scolastico territoriale di Venezia, e rientra in un sistema didattico varato nel progetto “CHE GENERE DI CULTURA?”, nato nel 2011 dopo la firma del Protocollo d’intesa con la Commissione per le Pari Opportunità tra donna e uomo della Provincia. Nel programma del progetto – siglato nel giugno 2011, sulla scia del “Documento d’indirizzo sulla diversità di genere” sottoscritto dal MIUR e dal Dipartimento per le Pari Opportunità – si sottolinea l’esigenza di una “didattica sensibile alle differenze di genere”, e punta ad elaborare “proposte educative e iniziative di formazione che contribuiscano a promuovere una riflessione critica utile ad abbattere barriere ideologiche e culturali e stereotipi radicati”. Da qui i progetti formativi e il concorso “Che Genere di scuola?”, rivolto alle scuole superiori ad indirizzo artistico e grafico, per creare per un manifesto di orientamento scolastico libero da condizionamenti, e promuovere un orientamento scolastico che, ancora una volta,contrasti con gli stereotipi di genere, e contro le stantie classificazioni di maschile e femminile.

Venezia quindi è l’avanguardia del nuovo sistema scolastico, che partendo da una nuova scala di valori, punta ad essere al passo con i tempi, e a formare l’ identità delle generazioni future, a superare le differenze, azzerare le diversità naturali, perdere di vista la verità. La scuola del pensiero unico dominante comincia da qui.

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ANCHE L’ONU È CONTRO LA FAMIGLIA: l’omofobia sarà un reato internazionale.

26 settembre 2013 primo grande incontro dei ministri delle Nazioni Unite sui diritti LGBT.

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La pressione internazionale cresce sul piccolo stivale mediterraneo; mentre gli italiani prendono lentamente coscienza della manovra rivoluzionaria e antidemocratica che si sta attuando in Parlamento alle loro spalle, l’ONU rincara la dose al fine di scoraggiare qualsiasi azione che possa impedire o quantomeno ostacolare l’attuazione della legislazione anti-omofobia che si sta stendendo come una cappa soffocante su tutti i paesi dell’Unione Europea.

Dall’ultimo meeting delle Nazioni Unite emerge, infatti, la volontà di continuare a perseguire e diffondere un concetto di libertà che corrisponde alla totale assenza di obblighi e di doveri  e alla soddisfazione di ogni desiderio (legittimo o illegittimo non ha importanza) giustificandolo entro l’intoccabile sfera del “diritto”. Tale concezione distorta del concetto di libertà, ormai entrata nel substrato culturale di noi tutti, muove dalla relativizzazione del concetto di cosa è “bene” per l’uomo, dichiarando che nessuno ha il diritto di dire all’altro ciò che è giusto e ciò che è sbagliato poiché le categorie di giusto/sbagliato, di bene/male sarebbero del tutto soggettive e indeterminabili. Tuttavia l’affermazione sul piano sociale di una tale concezione relativista non può non avere ripercussioni gravi sulla felice convivenza degli individui che formano la società. Ciò produce, infatti, instabilità morale e indeterminatezza nell’applicazione della giustizia, poiché il diritto non avrebbe più un punto di riferimento universale diventando così una giustizia auto-fondante. Si avrebbe perciò un diritto positivo che altro non sarebbe che “arbitrio puro” ossia una giustizia alla mercé del legislatore che può stravolgerne i contenuti a seconda delle mode e dei capricci del momento. Il concetto stesso di legge che è al di sopra di tutti verrebbe meno, poiché diverrebbe uno strumento manipolabile nelle mani del vincitore di turno alle elezioni.

Inoltre assumere il concetto di “diritto” come arma per affermare qualsiasi tipo ideologia, nel caso specifico di quella gender, produrrebbe quella situazione sociale descritta da Hobbes come homo homini lupus. Con una piccola differenza; Hobbes credeva che tale situazione fosse lo stato naturale dell’uomo e che solo lo stato potesse risolverla attraverso l’assunzione della libertà dei singoli per realizzare il “bene comune”. Nella situazione attuale, invece, sarebbe proprio lo stato a creare una sorta di odio sociale, instaurando un clima di “caccia alle streghe” che evidentemente non corrisponde alla realtà dei fatti. Si vorrebbe creare cioè un carnefice (i cosiddetti “omofobi”) e una vittima (i cosiddetti “LGBT”) al fine di motivare l’urgenza dell’approvazione di una serie di leggi che hanno tutt’altro fine: la distruzione della famiglia. La strumentalizzazione delle morti di alcune povere persone per sostenere la teoria di genere e l’approvazione di leggi liberticide è un’operazione abietta e subdola che tende ad istigare una lotta fra le categorie sociali che nella realtà non sussiste. La tattica è sempre la stessa: assumere dei casi limite, delle isolate manifestazioni di “discriminazione” e “violenza”, se motivate poi da omofobia è tutto da verificare, come pungolo per introdurre una legge univoca. L’eccezione che diviene regola declina così un principio giuridico universale per dei casi particolari che serve non per difendere una categoria discriminata o vittima di violenze, bensì per affermare un principio etico ben preciso: qualunque sorta di aggregazione affettiva può essere famiglia. E’ facile prevederne le conseguenze nefaste: la “cosificazione” dei figli o, per usare un termine coniato dal noto pediatra C. V. Bellieni, la loro “giocattolificazione”. In tal senso i bambini divengono un semplice “diritto”, un qualcosa da ottenere a tutti i costi, un mezzo, e non più un fine in quanto persone. Già il mercato degli uteri in affitto è una triste realtà nei paesi come l’India dove le donne vengono comprate per pochi soldi pur di assicurare la loro disponibilità ad essere delle “macchine produttrici di bambini” per gli “aventi diritto”.

L’ONU utilizza la stessa dicitura adottata in Italia per la proposta di legge Scalfarotto ossia  “discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale”. In definitiva si delinea lo scenario di una legge che nella sua premessa vorrebbe porsi come tutela della libertà d’espressione contro qualsiasi forma di discriminazione ma nella sua prassi la negherebbe a chiunque non si dimostri d’accordo con l’opinione in oggetto, ossia la teoria del gender, o insegni che le ragioni su cui essa è fondata sono contro la morale, il diritto naturale, e la salute psicofisica delle persone con tendenze omosessuali. Tuttavia tale legislazione non spiega la ragione di fondo perché costituiscano aggravanti gli atti di violenza e di discriminazione verso persone con tendenze omosessuali. In tale ottica si viene instaurando una sorta di “categoria protetta”, una sorta di casta con dei privilegi intoccabili e delle tutele di cui gli altri cittadini non godono. Se veramente si vuole reprimere, come è giusto, ogni forma di violenza sarebbe più utile evitare di creare delle categorie di intoccabili, ma combatterla con gli strumenti che la legge fornisce già e diffusamente per tutte le categorie di cittadini. Non cadiamo nell’errore di fare di questa lotta all’omofobia un feticcio senza fermarci a considerare le implicazioni che ogni provvedimento legislativo produce sul piano della convivenza civile. La violenza va stigmatizzata, sempre e dovunque, in maniera univoca per la difesa di ogni essere umano dal più piccolo al più grande senza eccezioni.

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Veglia 11 Ottobre

DL SCALFAROTTO, LA MANIF POUR TOUS ITALIA: “IN PIAZZA OLTRE 1000 PERSONE PER RIBADIRE NOSTRO IMPEGNO PER LA FAMIGLIA, CONTRO LEGGE BAVAGLIO”

“Si è conclusa la veglia a difesa della famiglia, tenutasi oggi pomeriggio alle ore 19 in Piazza del Pantheon a Roma, dove più di mille persone hanno partecipato manifestando contro il disegno di legge “contro l’omofobia”. Nella capitale, e in contemporanea con quattro città in Italia – Pisa, Bologna, Bisceglie e Bolzano – che hanno registrato la media di 200 persone a piazza, si è gridato no alla legge bavaglio, quella “Scalfarotto”, che di fatto vuole impedire la libertà di espressione, destrutturando la famiglia, così come è stato fatto con quella francese. Oggi abbiamo ribadito con forza che la nostra battaglia antropologica non si fermerà qui e, anzi, continuerà più forte di prima, a dimostrazione che la società civile italiana è vigile e non si arrende di fronte all’arroganza di chi vuole impedire la difesa della famiglia fondata tra uomo e donna, nascondendo dietro la legge Scalfarotto le reali motivazioni, quelle che celano in un futuro prossimo i matrimoni omosessuali”. È quanto dichiara in una nota il comitato romano della Manif Pour Tous Italia.

Alla fine dell’evento gli organizzatori hanno consegnato simbolicamente ai manifestanti alcuni pacchi di pasta Barilla, per ricordare chi, come Guido Barilla, ha difeso la famiglia, sia stato massacrato a mezzo stampa, diventando così la prima vittima del disegno di legge Scalfarotto.

Roma, 11 ottobre 2013

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Barilla & Boldrini. «Anche noi Ostellino ci sentiamo discriminati in quanto famiglia “sessista”» di Piero Ostellino

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«Da cinquant’anni la mia famiglia assomiglia a quella della pubblicità televisiva della pasta Barilla: la moglie, che ha cucinato (bene) e che serve marito e figli; l’uno e gli altri, a tavola, in attesa di essere serviti. La famiglia di mia figlia – lei, il marito, due figli – assomiglia anch’essa a quella della Barilla. Sono quelle che si dicono comunemente due famiglie “normali” – di cui, peraltro, noi non ci vantiamo affatto – anche se io preferisco dire “tradizionali”. Ma, per la presidentessa della Camera, la mia famiglia è, invece, il segno distintivo di una cultura “sessista”. Forse, dovremmo vergognarcene.

Dopo il pubblico linciaggio del povero Barilla – bastonato per aver pubblicizzato la propria pasta rivolgendosi alle famiglie più numerose (quelle tradizionali) come suggerisce ogni manuale di marketing, e la lezione di “politicamente corretto” che ci è stata impartita – noi ci sentiamo discriminati. Penso che la signora Boldrini dovrebbe farsi promotrice di una legge contro la discriminazione degli eterosessuali. (…)

Strano Paese il nostro. Ha una ben singolare idea della democrazia. Non fa una piega se dei fanatici insultano e minacciano chi non la pensa come loro e, poi, si scandalizza perché molte mogli cucinano e servono a tavola marito e figli. Se la ragione della stranezza sta, anche qui, nell’applicazione-interpretazione, del secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione, non vedo francamente come la Repubblica potrebbe eliminare le differenze “di fatto” in questione – che sono la conseguenza della libera scelta di uomini e donne di gestire la propria sessualità come credono – se non punendo penalmente i gay come si faceva in Urss, anche di quelli maggiorenni e consenzienti, ovvero relegando le famiglie tradizionali in una condizione di minorità di fronte ad un’opinione pubblica completamente instupidita.

Diamoci, allora, una bella regolata. Noi italiani non siamo più democratici di altri popoli perché abbiamo l’irrealistico e inapplicabile articolo 3 della Costituzione e lo vogliamo applicare anche là dove sarebbe ridicolo solo parlarne. Sembriamo unicamente più stupidi. Sarebbe, perciò, bene ci si informasse tutti meglio — a cominciare dai rappresentanti delle pubbliche istituzioni — su che cosa sia la democrazia e si evitasse il politicamente corretto quando finisce palesemente per tracimare nel ridicolo. Come è accaduto nel “caso Barilla”».

Piero OstellinoCorriere della Sera

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Il “grande buonsenso” che cancella Padre e Madre

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La maestosa e insaziabile campagna omosessualista e pro-gender non si arresta ma rilancia: visto che le parole a volte pesano (troppo), a Venezia la consigliera comunale delegata ai diritti civili e alle politiche contro le discriminazioni, Camilla Seibezzi, ha proposto impavidamente di far sparire la dicitura “mamma” e “papà” dalle carte per le iscrizioni dei figli all’asilo per sostituirle con la parola, decisamente più politically correct, “genitore 1 e genitore 2″.
Da un antico comune all’altro, gli attacchi all’istituto della famiglia naturale non finiscono qui. Sui moduli per l’iscrizione alla scuola del Comune di Bologna non ci sarà più alcun riferimento a “padre” e “madre”; il Comune infatti uniformerà a breve la modulistica dei servizi per l’infanzia alle diciture “genitore richiedente” e “altro”. “L’unico riferimento a ‘padre’ e ‘madre’ è presente nella parte della modulistica dove si parla della condizione lavorativa” spiega l’assessore comunale all’istruzione Marilena Pillati “è qui che per un fatto di coerenza interna ai moduli stiamo valutando di sostituire i termini distinguendo sempre tra il genitore che ha fatto richiesta e l’altro genitore, ovviamente se c’è”.
L’iniziativa salutata dall’Arcigay come “un atto di grande buonsenso e di buona politica” è invece l’ennesimo tentativo di screditare il carattere fondante, strutturante e determinante della figura del padre e della madre.Carattere questo che è inscritto e inciso naturalmente in ogni uomo.

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Le risposte del Rabbino di Francia sul matrimonio omosessuale

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Dopo l’approvazione della proposta di legge Scalfarotto su omofobia e transfobia i paladini omosessualisti prendono respiro prima di ritornare alla carica mediatica per legiferare in tema di matrimonio tra persone dello stesso sesso e adozioni. Se dovesse passare in Senato, questa legge bavaglio che proibisce il dissenso civile sul tema e il sostegno univoco alla famiglia naturale sarà il preludio per l’approvazione dei matrimoni omosessuali. La Francia è l’ultima vittima di questa battaglia liberticida.
Riproponiamo una sintesi di risposte alle domande più discusse sull’argomento offerte dal Gran Rabbino di Francia Gilles Bernheim e tratte da un libello intitolato “Il matrimonio gay, i genitori gay e l’adozione: quello che spesso dimentichiamo di dire”. Documento quest’ultimo che insieme ad altri svarioni sono costati l’accusa di plagio (si ritrovano infatti passi di don Joseph-Marie Verlinde e un’intervista a Beatrice Bourges, presidente del Collettivo per l’Infanzia non citati) e le conseguenti dimissioni di Bernheim. Plagio o no a noi interessa lo sguardo lucido e autorevole che si inserisce in una più ampia critica dell’assurdità delle proposte avanzate in tema e conferma l’esistenza di un’unica, universale e imprescindibile visione antropologica. Una visione che ribadisce la natura relazionale e filiale della persona e ne promuove l’integrità.

Da “documentazione.info”

1) ESTENDERE IL MATRIMONIO AGLI OMOSESSUALI, CHE FASTIDIO PUO’ MAI COMPORTARE AGLI ETERO?

Rabbino di Francia
In una visione largamente condivisa da persone credenti o non credenti, il matrimonio non è il riconoscimento di un amore; è una istituzione che sancisce l’alleanza di un uomo e di una donna per consentire la continuità delle generazioni. E’ l’istituzione di una famiglia, cioè di una cellula che crea una relazione di filiazione diretta fra i suoi membri all’interno di una comunità costituita da discendenti e ascendenti. E’ fondamentale per la costruzione e la stabilità degli individui e della società.

2) IL MATRIMONIO FRA OMOSESSUALI RISOLVE IL PROBLEMA DELLE DISCRIMINAZIONI A CUI SONO SOGGETTI ANCORA OGGI

Rabbino di Francia
La tesi che il matrimonio è per tutti coloro che si amano non è sostenibile. Il fatto che due persone si amino non implica affatto che si debbano sposare, siano essi omosessuali o etero.
Un uomo non può sposare una donna già sposata, nè una donna può sposare due mariti.
La sincerità dell’amore non è messa in causa. Il matrimonio è qualcosa di molto più completo dell’amore fra due persone. Da questo punto di vista il matrimonio per tutti è solo uno slogan perché l’eventuale autorizzazione al matrimonio fra omosessuali non eliminerebbe diseguaglianze e discriminazioni nei confronti di altri che si amano.

3) LE COPPIE OMOSESSUALI SONO IN GRADO DI AMARE ALTRETTANTO BENE CHE LE COPPIE ETEROSESSUALI?

Rabbino di Francia
Non c’è alcun dubbio che persone omosessuali sono capaci di amare ed educare i bambini allo stesso modo degli eterosessuali ma il ruolo dei genitori non consiste unicamente nell’amore che possono dare ai loro figli, né nella educazione che possono fornire: il legame filiale è un vettore psichico che è fondante per il senso di identità del ragazzo.
Tutto l’affetto di questo mondo non è sufficiente a produrre le condizioni psichiche che rispondono al bisogno del ragazzo di sapere da dove proviene. Il padre e la madre indicano al figli la sua genealogia, che gli è necessaria per posizionarsi nella catena delle generazioni e rapportarsi al resto del mondo.

4) PERCHE’ DISCRIMINARE LE COPPIE OMOSESSUALI RIGUARDO L’ADOZIONE?

Rabbino di Francia
Non c’è un diritto ad avere un bambino, né per le coppie omosessuali né per quelle etero.
Il bambino non è un oggetto di diritto ma soggetto di diritto.
Il bambino adottato ha bisogno, più di chiunque altro, di un padre e di una madre. L’abbandono è visto come una ferita profonda e l’orfano aspira a ritrovare ciò che ha perduto.
L’adozione da parte di una coppia omosessuale rischia di accrescere il trauma del bambino perché la catena della filiazione risulterà essere stata doppiamente interrotta: nella realtà dei fatti per l’abbandono subito e nell’artificiosità parentale costruita sull’omosessualità dei suoi genitori adottivi.

5) LA PROCREAZIONE ASSISTITA CONSENTE ORA FORME DI OMOGENITORIALITA’ (HOMOPARENTALITE’) PRIMA IMPOSSIBILI

Rabbino di Francia
Le nuove forme di omogenitorialità consentite dalle varie forme di procreazione assistita (donazione di ovociti, di sperma, utero in affitto) aprono prospettive complesse e nuove forme di rivendicazione: queste vanno trattate nell’ambito più generale della Bioetica salvaguardando soprattutto i diritti del bambino e non debbono essere prese in ostaggio da rivendicazioni orientate ad annullare la differenza fra sessi.

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Il Matrimonio tra persone dello stesso sesso è una bugia: parola di Masha Gessen

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Masha Gessen è un attivista LGBTQ, (sigla che comprende le comunità lesbica, gay, bisessuale, trans gender e queer), giornalista e scrittrice nata in Russia nel 1967 da una famiglia ebrea. Emigrata negli Stati Uniti nel 1981, è ritornata in Russia nel 1991 per battersi in difesa della causa omosessualista contro le leggi volute dal premier Putin che vietano la propaganda della cultura omosessuale in presenza di minori.

Partecipando ad una conferenza tenutasi a Sidney nel 2012 (il video è reperibile nella rete), la giornalista colse molti di sorpresa affermando, da una parte, che “i gay dovrebbero avere il diritto di sposarsi”, ma anche, dall’altra, che “il matrimonio tra persone dello stesso sesso” è “un’istituzione che non dovrebbe esistere e per la quale è inutile combattere”.

Che le parole della Gessen dovessero finire presto nel dimenticatoio e che non suscitassero la sfrenata curiosità dei media era fin troppo facile da prevedere. L’attivista ha evidenziato con semplicità alcune delle contraddizioni e delle falsità che si celano dietro al riconoscimento del matrimonio omosessuale. Nel suo intervento dichiara in fin dei conti che la battaglia in quanto tale del matrimonio gay è solo un grande bluff, perché l’affermazione di questo tipo di unione ha per unico scopo la consequenziale dissoluzione concettuale del matrimonio in quanto tale. Secondo Masha Gessen l’istituzione del matrimonio verrebbe distrutta dal fatto che due tipi totalmente diversi di unione non possono più essere paragonate.

Il riconoscimento del matrimonio omosessuale e la possibilità di adozione sono, quindi, il passo decisivo per la distruzione dell’istituzione familiare così come naturalmente accolta in ogni società umana. Ammettere questo è segno di buon senso e soprattutto di buona fede.

Non sono in pochi anche tra le persone omosessuali, come la stessa Gessen, a individuare nella famiglia la vittima prescelta di un’ideologia così strumentale. Il luogo familiare è uno “spazio vitale” delicato e formativo. Ogni uomo e ogni donna si struttura come persona nel seno familiare e impara cosa vuol dire “essere in relazione”. I figli necessitano naturalmente di una padre e di una madre che li rimandino alle origini indissolubili della loro persona. Il legame filiale costituisce la struttura identitaria e non a caso l’aumento della violenza domestica e delle separazioni sono ferite profonde e durature nella vita dei figli. Una recente cronaca riporta il suicidio di un bambino di 10 anni che non poteva sopportare di dover assistere inerme alla separazione dei genitori.

Considerazioni troppo ardite, queste, per il volubile mercato delle informazioni. Crea meno problemi (cioè più incassi) raccontare che i figli preferiscono la separazione dei genitori piuttosto che vederli litigare di continuo, come se questo mondo fosse caduto in un baratro talmente profondo da non lasciar nemmeno lo spazio per immaginare una via di riconciliazione tra i genitori. Nessuno pubblicherà mai le cifre reali dei suicidi tra i giovani, che nella maggior parte dei paesi europei sono la seconda causa di mortalità dopo gli incidenti stradali. Continueranno a confondere con superficiali scorciatoie la causa con l’effetto.

I problemi reali di oggi sono “omofobia” e “femminicidio”, stando a quanto raccontano. Ma né una legge né una braccialetto elettronico potranno arginare la violenza crescente generata da un’esperienza impressionante di solitudine e non-senso che sperimentano sempre più persone nelle nostre società dell’edonismo e consumismo sfrenato.

Proprio a causa della progressiva delegittimazione della dimensione familiare naturale e del progressivo disinteresse sociale per le sue esigenze vediamo schizzare in alto gli indicatori di quel disagio giovanile contemporaneo che porta ai crimini suddetti. Dissolvere la famiglia significa dissolvere quello spazio in cui l’uomo ha sempre imparato le norme morali fondamentali dell’accettazione di sé e della convivenza con l’altro.

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Per la libertà di opinione.