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OMOFOBIA: LMPT ITALIA, 11 GENNAIO IN PIAZZA PER LA DIFESA DELLA LIBERTA’ D’ESPRESSIONE E DELLA FAMIGLIA

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Proseguono le iniziative de LA MANIF POUR TOUS ITALIA per tutelare la libertà di pensiero e di opinione (art. 21 della Costituzione) e la famiglia naturale, quella di cui parla la nostra Costituzione agli articoli 29, 30, 31, basata sul matrimonio tra uomo e donna. La petizione in difesa della famiglia, lanciata lo scorso 5 dicembre, ha già raggiunto le 17.000 adesioni. Ma l’attacco alla famiglia e alla libertà di espressione prosegue e la nostra protesta non può fermarsi.

Il prossimo passo è sabato 11 gennaio, alle ore 15.30 in Piazza Santi Apostoli a Roma, con una nuova manifestazione per la libertà di espressione. Un evento pubblico, per dire il nostro “No” alla legge bavaglio Scalfarotto, per ribadire che la libertà di espressione è sacrosanta, per difendere la famiglia e il futuro della nostra società.

Ci accompagneranno politici, associazioni familiari, esponenti del mondo cristiano ebraico e musulmano, e movimenti homosex contrari alla legge.

Interverranno:
Francesco Belletti (Presidente del Forum delle Associazioni Familiari); Guido Guastalla (Comunità Ebraica di Livorno); Luca Volontè ( Direttore generale Fondazione Novae Terrae); Pietro Invernizzi (Portavoce delle Sentinelle in Piedi); Jean-PierDelaume- Myard (Portavoce Homovox); Gianfranco Amato (Associazione Giuristi per la Vita)

Aderiscono all’evento:
Associazione Arkè – Associazione Giuristi per la Vita – Associazione Nazionale Famiglie Numerose – Associazione Culturale Identità Europea – Comitato della Famiglia – Comitato “Si alla Famiglia”, Torino – Europei per la Manif – Gruppo Lot – Movimento per la Vita – Movimento Europeo per la difesa della vita – Sentinelle in Piedi – Notizie Pro Vita

Voci dalla Politica:
Sen. Laura Bianconi, Sen. Maurizio Gasparri, On. Gian Luigi Gigli, Sen. Carlo Giovanardi, Sen. Lucio Malan, On. Massimiliano Fedriga, On. Giorgia Meloni, On. Nicola Molteni, On. Alessandro Pagano, On. Eugenia Roccella, Sen. Maurizio Sacconi, On. Mario Sberna.

Perché la battaglia per la famiglia è trasversale, non possiamo piegarci alla dittatura del pensiero unico, il futuro riguarda tutti.

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I Dieci comandamenti LGBT per i giornalisti

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Il 13 dicembre L’UNAR, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali del Ministero delle Pari Opportunità, sinora noto soprattutto per la catechesiprogender di cui ha fatto oggetto gli insegnanti, ha pubblicato un documento rivolto ai giornalisti intitolato «Linee guida per un’informazione rispettosa delle persone LGBT». Tale documento rappresenta un’anticipazione di ciò che l’Italia sta per compiere per “stare al passo dei Paesi più civili”, vale a dire una «legislazione specifica» contro l’omofobia che contemplerà per i professionisti nello specifico non solo il deferimento all’Ordine ma anche la reclusione. Dieci sono gli obbighi a cui attenersi per non andare incontro alle sanzioni previste per i trasgressori:

I: Non confondere il sesso con il genere. Il sesso è una caratteristica anatomica, ma ognuno sceglie se essere uomo o donna «indipendentemente dal sesso anatomico di nascita».

II: Di fronte ai “Coming out” non si dovrà parlare di «gay esibizionisti” bensì  sottolinearne gli aspetti positivi come il coraggio di chi si rende visibile.

III: Considerare il termine “lesbica” un complimento.

IV: Sempre in merito al “femminile”, se un transessuale si sente donna il giornalista deve scrivere «la trans» e non «il trans».

V: Non associare transessuali e prostituzione. E invece di parlare di prostitute o prostituti si usi piuttosto l’espressione «lavoratrice del sesso trans».

VI: Educare i lettori ad una opinione benevola sul «matrimonio» omosessuale”, o su “altro istituto ad hoc per il riconoscimento dei diritti LGBT». L’idea base da inculcare è che «il matrimonio non esiste in natura, mentre in natura esiste l’omosessualità» mentre non vanno presi in considerazione «i tre concetti: tradizione, natura, procreazione», indizio di omofobia, sempre ricordando che il «diritto delle persone omosessuali ad avere una famiglia è sancito a livello europeo».

VII: vietato parlare di «matrimonio tradizionale» e, per contrasto di «matrimonio gay», traducendolo come «matrimonio fra persone dello stesso sesso»

VIII: Per l’argomento adozioni vietato sostenere che il bambino «ha bisogno di una figura maschile e di una femminile come condizione fondamentale per la completezza dell’equilibrio psicologico», un «luogo comune», smentito dalla «letteratura scientifica». Così come parlare di «utero in affitto», espressione «dispregiativa», da sostituire con la più elegante «gestazione di sostegno».

IX: I conduttori televisivi quando nelle trasmissioni vengono trattati questi temi non sono obbligati al contraddittorio poiché «Non esiste una soglia di consenso prefissata, oggettiva, oltre la quale diventa imprescindibile ilcontraddittorio».

X: I fotografi nei loro reportages ai “Gay Pride” sono invitati a evitareimmagini di persone «luccicanti e svestite».

Inoltre al proposito del “dovere di cronaca” che obbliga a riportare tutte ledichiarazioni, anche quelle «di politici e rappresentanti delle istituzioni»non del tutto allineati, i discorsi contrari vanno virgolettati, sottolineaticome sbagliati, contrapposti a quelli di rappresentanti delle organizzazioni LGBT, che andranno tempestivamente intervistati. Si raccomanda inoltre una«particolare attenzione nella titolazione».

In fondo queste linee guida per i giornalisti hanno involontariamente un grande merito, quello di rendere esplicito cosa sarà davvero vietato dalla legge contro l’omofobia. “Altro che proteggere le persone omosessuali – com’è giusto che sia, e come già affermano le leggi in vigore, da insulti, minacce e violenze. Qui si tratta della dittatura del relativismo, senza sottigliezze e senza misericordia. Fermiamo questa macchina impazzita prima di ritrovarci tutti in un Gulag gestito da militanti LGBT.”

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IL PARLAMENTO EUROPEO BOCCIA LA RELAZIONE ESTRELA

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Il 10 dicembre, in coincidenza con la Giornata mondiale dei Diritti Umani, il Parlamento Europeo ha bocciato la “relazione Estrela”, che promuoveva l’aborto come diritto umano, la fecondazione assistita e la «teoria del gender». Il rapporto è stato proposto dall’eurodeputata socialista portoghese Edite Estrela, da sempre decisa a incoraggiare un’educazione sessuale adeguata per i bambini, nel nome di una lotta decisa contro ogni discriminazione di genere e di una cultura della contraccezione che possa garantire la prevenzione di gravidanze indesiderate. Le proposte della Estrela, se approvate, avrebbero portato gli Stati membri dell’UE a garantire a tutti, anche giovanissimi, aborto (senza consenso dei genitori), contraccezione, fecondazione assistita, rieducazione degli insegnanti, corsi obbligatori a scuola sull’identità di genere e contro la discriminazione delle persone LGBTI, su cui dare «un’opinione positiva».

L’iniziativa ha prevedibilmente scatenato la forte reazione delle associazioni e degli attivisti più conservatori, che, nei mesi scorsi, in attesa del voto all’europarlamento, sono stati impegnati in manifestazioni e proteste contro le direttive del rapporto Estrela. Nonostante il testo sia stato bocciato con 7 voti di scarto (327 favorevoli, 334 contrari, 35 astenuti), le proposte dell’eurodeputata di origine portoghese hanno ricevuto il sostegno di illustri associazioni che da sempre combattono per i diritti fondamentali dell’uomo (e, in particolare, delle donne): tra queste ci sono la European women lobby e l’Europeanparliamentary forum on population and development. Anche Amnesty International ha espresso la propria solidarietà al progetto progressista di Edite Estrela, definendo il testo presentato all’europarlamento come «un atto di forte consenso politico, capace di assicurare nel futuro il positivo sviluppo del diritto degli individui di controllare le proprie scelte sessuali e riproduttive, la loro integrità e dignità fisica, nonché la libertà dalla violenza, dalla coercizione e dalla discriminazione».

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LA CROAZIA SCEGLIE LA FAMIGLIA NATURALE

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Dall’esito referendario della Croazia emerge chiaramente che QUANDO AL POPOLO È LASCIATA LA POSSIBILITÀ DI ESPRIMERSI, SCEGLIE LA FAMIGLIA NATURALE. Malgrado una violenta opposizione laicista (da parte di Governo, stampa ed Università) che ha cercato di impedire la consultazione referendaria, scoraggiando così la partecipazione al voto, che anche per questo motivo è stata bassa (35%), la Croazia ha detto no alle nozze gay: il 65% dei votanti ha scelto di inserire nella Costituzione il divieto ai matrimoni omosessuali. E’ ovvio a tutti che i non votanti intimoriti dalla presa di posizione di Governo e stampa, in particolare, sono stati proprio i sostenitori del SI. In questo quadro il risultato è eccellente. Certo, ora gli altri governi, compreso il nostro, saranno sempre più convinti dell’opportunità di TOGLIERE ALLA GENTE LA LIBERTÀ D’ESPRESSIONE, cominciando ad approvare leggi contro l’omofobia (ove non siano già oltre). Noi, comunque, dal voto croato, dobbiamo trarre motivazioni nuove e spunti nuovi per le nostre iniziative, a favore della libertà d’espressione e della famiglia naturale.

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LETTERA APERTA AL SINDACO DI VENEZIA ORSONI E AL CONSIGLIO COMUNALE VENEZIANO”

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Fatti incresciosi vengono orditi dalle istituzioni cittadine all’insaputa e in danno delle famiglie veneziane e delle loro legittime e naturali prerogative. Sciolto da un concreto vincolo di rappresentatività democratica mai espresso in merito dai suoi cittadini, il Comune di Venezia si appresta a condurre una violenta e radicale rivoluzione nell’educazione dei figli dei veneziani, specialmente i più piccoli, sulla spinosa e delicata questione dell’identità e del ruolo della famiglia nella società in rapporto agliorientamenti sessuali degli individuii. Lo scopo dichiarato delle iniziative politiche in corso è quello di far tabula rasa del patrimonio antropologico e culturale che da sempre vivifica le elementari relazioni umane e sociali della nostra comunità, ricco patrimonio che ora è screditato come fardello pieno di “stereotipi” discriminatori e nulla più.

 A Ca’ Farsetti c’è chi lavora sodo per stravolgere dalle fondamenta l’approccio tradizionale che riconosce alla famiglia il diritto (e il dovere) di educare i propri figli secondo la visione antropologica che ritiene più autenticamente diretta all’integrale sviluppo umano, specialmente in un ambito così determinante per l’equilibrata maturazione psicofisica e morale dei fanciulli. Le prove tecniche di questo nuovo dirigismo etico sono già in atto per impulso diretto – ancorché, si vuole sperare, forse non pienamente consapevole – del sindaco Orsoni.

Due i fronti principali aperti. Da una parte, la foga a dir poco ideologica della neo-delegata a “Diritti civili, Politiche contro le discriminazioni e Cultura Lgbtq (lesbian gay bisex transgender e queer)”, la consigliera Camilla Seibezzi, che ha meticolosamente pianificato la scomparsa della realtà familiare eterosessuale dalla documentazione burocratica ed istituzionale della città (anche con la nota sostituzione di “padre – madre” con “genitore”), perché, sostiene la consigliera, per «abbattere gli stereotipi … è necessario cominciare dal basso, con azioni politiche che incidano sulla pratica quotidiana». Azioni politiche arbitrarie e mistificatorie di cui nessuno, nemmeno la categoria che si dice di voler tutelare, ha mai sentito la pratica necessità, mentre mortificano invece una realtà sociale capillarmente diffusa e radicata.

 D’altro canto, ancor più grave l’iniziativa assunta dall’Assessorato Politiche Educative e Politiche per la Famiglia presieduto da Tiziana Agostini. L’Assessorato ha predisposto un “Piano Formativo” con cui rieducare il personale insegnante dei nidi e delle scuole d’infanzia del Comune secondo la più spericolata rilettura dell’identità e del ruolo della famiglia nella società, affinché i bambini che frequentano le scuole siano plasmati da nuovi criteri di discernimento circa la relazione fondamentale tra il genere sessuale e le relazioni familiari naturali. Scopo dei corsi è quello di eliminare dall’impianto educativo dei minori ogni considerazione che non accolga l’idea per cui possono sussistere delle differenze tra una famiglia fondata sull’unione tra un uomo e una donna e un’unione omosessuale.  In tal senso, la preferenza che si può voler accordare al primo modello, per altro con il conforto del dato normativo supremo della Costituzione italiana, è bollata anch’essa come mero “stereotipo” da emendare. Ciò che è più grave è che non si sia sentito necessario coinvolgere le famiglie dei bambini, destinatari ultimi dell’intera macchinazione. Questi corsi sono in atto mentre scriviamo: proprio in questi giorni insegnanti e operatori scolastici apprendono tecniche di relazione psicoattitudinale ideologicamente faziose i cui frutti saranno reindirizzati all’educazione dei bambini. Rigorosamente all’insaputa dei loro genitori. Tutto ciò è semplicemente inaccettabile.

Alla luce di questi tentativi di elusione dei diritti e delle libertà educative delle famiglie veneziane, esortiamo in tal modo i rappresentanti del Comune di Venezia:

- il sindaco Orsoni si assuma la responsabilità istituzionale di pronunciare in modo completo e manifesto la propria posizione circa il merito e il metodo delle iniziative assunte sotto il suo patrocinio politico, attivandosi nelle scelte più opportune conseguenti ad una sua eventuale contrarietà all’operato dell’assessore Agostini e della delegata Seibezzi;
- il Consiglio Comunale si mantenga vigile, in termini obiettivi e ragionevoli, quanto alle suddette attività, salvaguardando le prerogative e i diritti delle famiglie nel momento dell’educazione psicofisica e morale dei loro figli; si esprima dunque contrariamente quando questi principi supremi dovessero essere messi in dubbio al momento delle votazioni assembleari.

La Manif Pour Tous Italia

Comitato di Venezia

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Sono ben altre le bandiere che vorremmo veder sventolare

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“L’Assemblea capitolina ha approvato all’unanimità una mozione con la quale impegna il sindaco ad esporre sulla Piazza del Campidoglio, dal 9 al 15 gennaio, la bandiera con i colori dell’arcobaleno. L’iniziativa fu lanciata dopo il suicidio, nella notte di un giovane che in una lettera parlò di vessazioni a causa del suo orientamento sessuale. Inoltre il 13 gennaio 2014 si terrà in comune un consiglio straordinario per trattare il tema dell’omofobia.” Così le agenzie di stampa.

Diventa sempre più difficile ragionare con calma su un argomento così delicato come l’omosessualità e la sua approvazione sociale, con le sue implicazioni di carattere psicologico, culturale, antropologico, fare le dovute distinzioni in merito tra la dimensione privata e quella pubblica, rintracciarne cause ed effetti senza pregiudizi di parte, di fronte ad una onda in piena che tende a travolgerci tutti, omosessuali in primis. E’ molto triste constatare che si cerca di approfittare di qualsiasi occasione, anche la più dolorosa come quella di un ragazzo che si è tolto la vita, per forzare la mano alla comunità e imporre passaggi da cui far discendere poi conclusioni che a bocce ferme rischierebbero di non riscuotere il consenso necessario. Ci riferiamo qui al disegno che prevede, in sequenza, una legge contro l’omofobia, una sui “cosiddetti” matrimoni gay, e un’altra sulle adozioni delle coppie omosessuali, che pur non essendo state argomento di campagna elettorale né a livello nazionale né tantomeno comunale, stanno però diventando obiettivi centrali dell’azione politica. E’ per l’appunto con questa prospettiva, che, nello specifico, a Roma si tenta e tenterà di far passare l’idea, con iniziative come questa della “bandiera rainbow”, che la città sia omofoba e che come tale le vittime della presunta persecuzione necessitino di una tutela specifica, come se l’attuale ordinamento giuridico fosse manchevole da questo punto di vista e debba essere integrato da “leggi speciali”. Al contempo si vuoleingenerare una sorta di senso di colpa collettivo “a prescindere”, per metter in soggezione i possibili contestatori e poter così chiudere tutte le bocche e permettersi le mani libere su qualsiasi tipo di provvedimento. La domanda che pertanto dovremmo porci tutti è se ciò che sta avvenendo sia davvero un processo spontaneo o piuttostovenga diretto ad arte per i fini di quelli che si configurano come gruppi di potere trasversali e transnazionali che coi i drammi veri delle persone hanno ben poco a che vedere, fatta eccezione per le speculazioni e le strumentalizzazioni gestite al momento giusto. Sono ben altre le bandiere che vorremmo veder sventolare sui pennoni dei nostri comuni, in rappresentanza di istanze reali e non artatamente costruite e lo diciamo con il dovuto profondo rispetto di tutti quelli che soffrono vere forme di discriminazione.

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SEI MESI

NUCLEARE: ROMANI, REFERENDUM SU PROGRAMMA SUPERATO

Questo è lo spazio di tempo in cui potrebbero concludersi le discussioni sulle leggi contro omofobia e transfobia, sul matrimonio civile per coppie dello stesso sesso, e soprattutto  le modifiche della legge sulla modificazione dell’attribuzione di sesso

Sei mesi: questo è lo spazio di tempo in cui potrebbero concludersi le discussioni sulle leggi contro omofobia e transfobia, sul matrimonio civile per coppie dello stesso sesso, e soprattutto  le modifiche della legge sulla modificazione dell’attribuzione di sesso. Sei mesi è il tempo della speranza per il senatore Sergio Lo Giudice, del Partito Democratico, che ad una recente intervista a Mediexpress ha rivelato le prossime tappe delle discussioni,  soffermando l’attenzione in modo particolare sulle proposte di modifica alla legge 164/82 sull’attribuzione del sesso, che Lo stesso Lo Giudice, con Rete Lenford, avvocatura per i diritti LGBT, Scalfarotto del PD, e Airola del M5S, hanno proposto nei mesi scorsi e che puntano ad accelerare i tempi di riattribuzione di nuove identità. Così, se fino ad ora la legge prevede l’apertura di un iter giudiziario per poter esaminare e poi rilasciare l’autorizzazione ad intervenire sul cambio chirurgico del sesso, nella nuova proposta questo passaggio non viene più considerato necessario. Se il cambio del nome anagrafico avveniva solo in seguito all’avvenuto intervento chirurgico, per cui era “naturale “ attribuzione di nome in base alla nuova identità sessuale (e fisica), in futuro potrebbe bastare una semplice richiesta al Prefetto, allegando la relazione psichiatrica che certifica la “Disforia di Genere”. Una proposta di legge che serve, di fatto a velocizzare un processo in cui per legge erano previsti tempi di attesa, e verifiche fondamentali, e che oggi rischia di diventare niente di più che un semplice impiccio burocratico, in cui anche il cambiamento degli attributi sessuali è considerato un’imposizione, e pensato come elemento non necessario ai fini del benessere psicofisico della persona. In questo senso va la giurisprudenza, e l’auspicio di Lo Giudice è che <>. << Un’ottima Proposta di Legge – come sottolinea il senatore PD – condivisa ed estesa da una rete di avvocati che fanno riferimento al movimento LGBT, e che ha avuto anche una serie di modifiche, di placet, da parte delle organizzazioni LGBT>>; una legge la cui modifica appare indissolubilmente legata alla discussione sulla leggecontro l’omofobia e transfobia, già passata alla Camera, e a quella sul matrimonio civile per persone dello stesso sesso, già calendarizzata al Senato. Tre goal da segnare in poco tempo, insomma,  in un campo in cui le partite si giocano sul pressing. E il pressing in questo caso viene da una rete ben articolata di parlamentari impegnati nel promuovere, anche attraverso strumenti legislativi, i diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e trans gender, che comprende parlamentari del Partito Democratico, SEL e Movimento 5 Stelle. Una questione di tempo, quindi, giusto perché il parlamento adesso ha un attimo da fare nella discussione sul bilancio e <>. Peccato. Perchè a volte ci vuole tempo per fare e discutere, ci vuol il tempo per maturare le proposte, ci vuole tempo per cambiare le cose, e occorre affrontare gli ostacoli per renderle diverse. Per cambiare l’identità di una persona, invece, bisogna fare in fretta, a quanto pare. Sei mesi, più o meno.

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L’ITALIA NON E’ UN PAESE OMOFOBO! PAROLA DEL PRESIDENTE DELLA PRIMA LOBBY ITALIANA LGBT

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In questi giorni si è svolto a Roma un meeting della Edge (Excellence and Diversity by GLBT Executives), la prima lobby italiana promotrice degli interessi della categoria “LGBT”, ovvero lesbiche-gay-bisessuali-transessuali, a sua volta parte della più ampia Egma (European Gay & Lesbian Managers Association). La Edge si occupa di promuovere politiche di accettazione e “valorizzazione” delle diverse “identità di genere” all’interno delle aziende, affinché le società possano trarre profitto economico dal rinnovato clima di serenità tra il personale.

Angelo Caltagirone, imprenditore siciliano trasferito in Svizzera nonché fondatore e presidente della Edge stessa, ha spiegato il ragionamento che sottende all’operato della sua lobby. Il quadro di partenza che a suo dire rappresenterebbe la realtà di oggi è presto detto. Primo: il 5-6% dei dipendenti di ogni azienda è omosessuale. Più che di un dato empirico quest’affermazione sembrerebbe l’espressione di un dogma (un dogma molto comodo) dal momento che non trova raffronto  in alcuna indagine statistica, che infatti non viene affatto richiamata; secondo: questi lavoratori sono persone insicure e frustrate, che non rendono tutto il potenziale che l’azienda potrebbe sfruttare. La conclusione appare ovvia: il contrasto delle asperità di matrice “omofobica” negli ambienti di lavoro migliora lo stato d’animo dei dipendenti, dunque la loro rendita, dunque il profitto generale.

Non c’è alcun dubbio sul fatto elementare per cui una persona felice vive meglio (e dunque anche lavora meglio). La vera domanda è se sia reale il quadro critico delineato da Caltagirone, che giustificherebbe la peculiarità della sua lobby, o se la Edge fosse solo l’ennesima espressione di quell’apparato di categoria che si batte per rivoluzionare l’ordinamento sociale vigente quanto ai soliti temi dell’antropologia familiare e sessuale, non avendo quindi nulla a che spartire con la lotta alle discriminazioni di genere.

Sorprendentemente, è lo stesso manager che getta nel discredito la supposta urgenza della sensibilizzazione, per cui tanto si batte, quando afferma serenamente che, dati Istat alla mano, non è possibile sostenere che l’Italia sia un Paese omofobo. Certo, chiarisce, capita il verificarsi di episodiche discriminazioni (a parte l’ultimo tragico suicidio nella Capitale, i cui profili causali sono tuttora al vaglio della magistratura), ma il fenomeno non assume il carattere della generalità. Caltagirone ammette così implicitamente, dunque, che non sussiste alcuna emergenza in ordine al soccorso di quell’ipotetico “5-6%” di lavoratori omosessuali sparsi nelle aziende italiane: questi lavoratori con tendenze omosessuali non sarebbero infatti vittima di alcun clima “omofobico”, non sarebbero affatto persone depresse e abbrutite e quindi non avrebbero alcun bisogno dei suoi servizi.)

Se la storia finisse qui, la Edge potrebbe passare i prossimi anni con le mani in mano. D’altro canto emerge però che essa è attivamente impegnata in una pervasiva opera di pressione politica e di finanziamento economico (il core business di una lobby degna di questo nome, dopotutto) volta alla parificazione nell’ordinamento civile del matrimonio eterosessuale con le unioni omosessuali  . Ritorna sempre, dunque, lo stesso tipico refrain del caso: dietro un manto di belle parole di pacificazione civica (di cui, come ampiamente visto e confermato, non c’è alcun bisogno), c’è invece un reale intento di natura squisitamente politica.

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Sull’uso di trattamenti ormonali su bambini affetti da Gender identity disorder (G.I.D.).

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La nascita di un figlio si accompagna ad una serie di attese e attenzioni che i genitori hanno verso il loro bambino, e la salute è sicuramente la prima e più importante. La salute fisica e quella psichica, ma soprattutto quest’ultima, sono delicate perché legate alla crescita e allo sviluppo del bambino che risentono di molti fattori. Il contesto familiare soprattutto, ma anche quello sociale e culturale, nel quale il bambino cresce e si sviluppa è fondamentale e, al di là di molte difficoltà che la famiglia oggi incontra, da sempre la letteratura scientifica pediatrica e psicopedagogica sottolinea il ruolo insostituibile del padre e della madre nella crescita serena e armoniosa del bambino.

In questo quadro si situano le problematiche legate ai disturbi dell’età evolutiva, che come dice la parola è età caratterizzata da continue trasformazioni fisiche e psichiche, che procedono insieme, stimolate e condizionate dall’ambiente familiare (dove le dinamiche relazionali con la figura materna e con quella paterna hanno un ruolo centralissimo nella formazione della propria identità) e sociale. E’ stato visto che proprio in ambienti di disagio familiare si sviluppano la stragrande maggioranza dei disordini legati all’identità sessuale (G.I.D.) dell’infanzia (secondo la letteratura il 95% dei casi).

Alla Regione Toscana è stato chiesto dal primario del reparto di Medicina della Sessualità dell’ospedale Careggi di Firenze, di poter effettuare trattamenti ormonali su bambini con questi problemi con la motivazione, quanto mai bizzarra, di consentire al piccolo paziente (preadolescente) di avere tempo di orientarsi verso il “sesso che sente”! In linea con le conclusioni della rivista Pediatrics chiediamo che l’opinione pubblica sia informata, veramente, dei gravi rischi psicologici e fisici della soppressione puberale ormonale nei bambini, e chiediamo che siano resi noti i reali benefici di tali supposte terapie. Chiediamo come mai invece di usare i bambini come cavie, non si aiutino loro e le loro famiglie ad uscire da un disagio di natura psicologica, attraverso un accompagnamento psicoterapeutico adeguato.

Riteniamo che questa richiesta, in realtà, presupponga degli assunti ideologici per i quali l’identità di genere (cioè il sentirsi appartenente al sesso biologico dato) escluda il dato biologico-anatomico, per dipendere esclusivamente dal dato culturale-sociale e da ciò che ognuno si sente di essere.

Quindi alla luce delle autorevoli pubblicazioni scientifiche contrarie a questi trattamenti, le quali hanno evidenziato che i problemi il più delle volte sono psichici o legati a fattori socio culturali, educativi, familiari (appurato che c’è ancora molto da indagare perché i trattamenti ormonali hanno un’invasività che può risultare drammatica, specie nei bambini) nonché alla luce dell’obiettivo primo della medicina (primum non nocere!), chiediamo formalmente alla Regione Toscana di non dar corso ad alcuna autorizzazione “sperimentale” di impiego di terapie ormonali sui bambini nel senso e con le finalità indicate dal Primario di Medicina della Sessualità di Careggi, e a promuovere piuttosto ogni ricerca in questo campo, attingendo esclusivamente a studi scientifici di comprovata autorevolezza, onde evitare di utilizzare dei bambini come vere e proprie “cavie umane”.

30 Ottobre 2013

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Libertà non è sciacallare sui morti!

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Un ventunenne romano si è suicidato pochi giorni fa, gettandosi dall’undicesimo piano di un edificio in via Casilina, denunciando nel suo ultimo scritto il clima di “omofobia” che lo ha condotto al gesto disperato in quanto gay. Non è la prima volta che nella capitale si verificano episodi di disagio, legato al proprio orientamento sessuale.

La tragedia ha rinfocolato le polemiche nell’ambito del serissimo dibattito sulla considerazione delle persone con tendenze omosessuali nel nostro Paese e nel nostro ordinamento giuridico. La prima indispensabile condizione per affrontare il discorso – che si fa a volte spinoso nelle sue non banali articolazioni etiche, sociali e giuridiche – è comprendere l’entità del problema per rimediarne una soluzione concreta; la condizione consequenziale è il chiaro abbandono di logiche di demagogica strumentalizzazione: sopravvive la deprecabile tendenza di quelli che, affetti dalla smania di guardare alla società per categorici (e spesso ideologici) compartimenti, si affrettano ad “appropriarsi” anche dei più tristi fatti di cronaca pur di guadagnare “punti” alle proprie prerogative, spesso politiche – fondate o meno che siano.

Ci si riferisce allo sciame di associazioni e comitati per la propaganda dei “diritti civili” delle persone con orientamenti omosessuali (sulla cui effettiva rappresentatività sarebbe da discutere con precisione) che, alla notizia, si è alzato in volo rappresentando ad una voce l’esigenza improrogabile dell’ormai nota legge anti-omofobia, che attende l’esame del Senato dopo una prima e assai discussa approvazione alla Camera.

Questa legge introdurrebbe nell’ordinamento italiano una specifica aggravante per quegli atti, in sé ovviamente già puniti, di diffusione della o incitamento alla discriminazione quando motivati da (indefiniti) sentimenti di “omofobia” e “transfobia”. La previsione normativa generale riguarda la tutela delle persone contro materiali attività discriminatorie manifestamente lesive della loro dignità personale, ma ciò, evidentemente, in tutti i contesti in cui tali comportamenti possano effettivamente ricadere entro i netti confini presidiati dal diritto penale. E’ noto il fatto che esistano e siano anzi maggioritarie forme di esclusione o incomprensione sociale o familiare penalmente del tutto irrilevanti, ma non per questo moralmente e socialmente meno significative: ed è proprio in questo secondo profilo che, a ben vedere, ricadono i fatti di cronaca di cui si tratta.

Abbandonare la demagogia significa quindi riconoscere che una legge “contro l’omofobia” non avrebbe avuto comunque nulla a che vedere con le tragiche dinamiche che hanno portato a così infausti esiti. Dinamiche che rivelano un’insicurezza esistenziale già a livello familiare e che sarebbe illusorio, certamente riduttivo e inutile, degradare a mere questioni di sanzione penale. Ciò che conduce a questi atti disperati (incomprensioni, ambiguità, timori, silenzi, sguardi, voci..) si muove, fluido, nello spazio del penalmente irrilevante e, piaccia o no, può essere contrastato solamente con un rinnovato slancio di contenuto prettamente ed autenticamente morale, che pretende innanzitutto l’abbandono delle ideologiche prese di posizione in tema di diritti civili, che non c’entrano nulla e servono solo ad esasperare il clima sociale, nonché, spesso, a creare “mostri” e “colpevoli morali” di queste sciagure.

Una triste prova è data dalle parole lasciate dal giovane suicida, e strumentalizzate poi dalle associazioni. Il ragazzo ha scritto infatti che “l’Italia è un paese libero, ma esiste l’omofobia e chi ha questi atteggiamenti deve fare i conti con la propria coscienza”. Quest’espressione non dice quel che altri vogliono che dica, ma nel senso che dice molto di più. E’ pacifico dover intendere per “omofobia” tutti quegli “atteggiamenti” che il giovane ha incontrato, subendoli, sulla sua strada (sulla cui consapevolezza è lecito dubitare, dal momento che gli stessi genitori del ragazzo si sono dichiarati completamente all’oscuro degli orientamenti sessuali del figlio e, dunque, delle sue angosce). Ma è anche estremamente sintomatico che la responsabilità per quegli atteggiamenti venga da lui ricondotta espressamente ad una questione di coscienza, evidentemente l’unico tribunale davanti al quale possono trovare la loro giusta ammenda.

Ed è allora sulla coscienza personale e sociale delle persone che, chi di dovere ed in primis le famiglie, devono operare una sapiente educazione al valore primario e indissolubile della dignità umana. Pretendere che una legge possa magicamente imporre dall’alto una nuova abitudine nazionale, correndo per altro il concretissimo rischio di travolgere, nella sua foga ideologica, anche manifestazioni di pensiero e opinione del tutto lecite(come esprimere la propria posizione, ad esempio, sull’estensione del matrimonio a coppie omosessuali o permettere a queste l’adozione di minori – si rammenti il “caso Barilla”), pretendere una reazione così abnorme, dunque, significherebbe aggravare di molto il problema cui si vorrebbe rimediare. Significherebbe ignorarlo, sacrificando sotto i colpi del “mio diritto” il valore della diversità, “mio dovere”.

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Per la libertà di opinione.