Pubblichiamo il testo completo dell’intervista al portavoce de La Manif Italia, Filippo Savarese, riportata sul numero di novembre 2014 del giornale “Inchiostro” degli studenti dell’Università di Pavia.
Inchiostro – Mi spiega in breve la genesi e gli scopi dell’associazione?
Savarese – La Manif Italia si ispira al movimento francese La Manif Pour Tous, nato nel 2012 a seguito della legge “Le Mariage Pour Tous” che ha abolito il requisito della diversità sessuale della coppia che chiede di accedere all’istituto del matrimonio civile. L’associazione si chiama “La Manifestazione Per Tutti” perché intende dimostrare come esista un patrimonio di valori che, da una parte, non discrimina né danneggia assolutamente nessuno e, dall’altra, è invece orientato al bene comune. Cardine di questo patrimonio è la famiglia, intesa soprattutto come dimensione naturalmente privilegiata per l’accoglienza di nuova vita e la protezione dei diritti dei bambini. Il fenomeno “Manif” ha attirato l’attenzione per aver riunito sulla difesa di questo patrimonio persone di ogni estrazione sociale, convinzione politica, ispirazione filosofica o credo religioso. Diversi milioni di francesi sono scesi in piazza, in diverse occasioni, in difesa di alcuni principi elementari: la famiglia è la cellula fondamentale della società, perché per essa passa la rigenerazione della vita e la sua protezione nella fase di massima fragilità; i figli non sono “diritti” ma persone, esseri umani con propri diritti individuali, tra cui quello di non veder manipolata la loro esistenza con tecniche di laboratorio che li privino arbitrariamente di quel padre o quella madre che avrebbero naturalmente avuto (il riferimento è alla procreazione medicalmente assistita eterologa e alla barbara pratica dell’utero in affitto, contro il cui riconoscimento si è schierato anche il fior fiore dello storico establishment socialista e progressista). In breve può dirsi che La Manif vuole portare alcuni elementi di chiarezza ed onestà in un dibattito, quello sulla riforma del diritto di famiglia, troppo spesso intriso di posizioni ideologiche e demagogiche.
Il vostro movimento si riconosce nelle posizioni della Chiesa Cattolica?
Assolutamente no. Non abbiamo alcun tipo di legame con la Chiesa Cattolica né con altri enti, religiosi, politici o culturali. Siamo fieri dell’impianto saldamente laico che caratterizza le nostre opinioni, che si fondano sulla Costituzione e non sulla Bibbia. In particolare non facciamo nostra alcuna considerazione sulla natura dell’omosessualità, della quale non ci occupiamo affatto rispettando integralmente ogni persona nella sua identità.
Il Cardinal Ruini oggi ha definito i diritti dei gay “diritti immaginari”. È d’accordo? Perchè?
Non è quello che si legge nell’intervista. Ruini dice testualmente che “È giusto tutelare i diritti di tutti; ma i veri diritti, non i diritti immaginari”. È un discorso piuttosto ovvio che vale in generale per tutti, dunque anche per i diritti delle persone omosessuali o delle unioni affettive che esse vivano; di seguito si dice poi favorevole al rafforzamento di diritti individuali connessi alla convivenza, se effettivamente mancano, che non istituiscano però una sorta di para-matrimonio. Si può essere d’accordo o meno, ma non c’è nessun intento di negare i diritti effettivi delle persone. Io penso che sia doveroso mettere chiunque nella condizione di esercitare i propri diritti nella relazione affettiva che vive: è senz’altro immaginario un “diritto universale al matrimonio e al figlio per tutti”. Non lo dico io ma la Corte Costituzionale e la stessa Corte Europea dei Diritti Umani.
Le coppie gay (con e senza figli) già esistono in Italia, si parla di 100 000 “bambini arcobaleno”(Secondo una ricerca del 2005 condotta da Arcigay con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità, ndr): siete d’accordo con qualche tipo di riconoscimento e tutela per queste realtà di fatto?
Intanto devo dire che l’espressione “bambini arcobaleno” è davvero da evitare: non possiamo attaccare sui bambini delle etichette per arruolarli in battaglie politiche, è una forma di strumentalizzazione pessima. Ciò detto, la cifra dei centomila figli di coppie omosessuali si sente spesso in giro, ma è una vera e propria bufala. La cifra è uscita da una ricerca condotta dieci anni fa nel mondo omosessuale da enti non proprio super partes quali l’Arcigay e l’Arcilesbica, e afferma che “il 17,7% dei gay e il 20,5% delle lesbiche, con più di quaranta anni, hanno almeno un figlio”. Ammesso e non concesso che l’indagine sia veritiera, essa ci dice solo che alcuni bambini avrebbero il padre o la madre omosessuale, non che vivono in una coppia formata da due persone omosessuali. Per capirci: se mio padre o mia madre dovessero “scoprirsi” omosessuali, l’Arcigay bollerebbe in automatico me e i miei cinque fratelli come “figli arcobaleno”. La disonestà di questo metodo per censire il fenomeno dell’omogenitorialità è evidente. Ritorniamo allora a dati più seri e fondati. Il censimento Istat del 2011 quantifica in 16 milioni e 648 mila i nuclei familiari in Italia. Di questi nuclei, 7.591 si dichiarano composti da due persone dello stesso sesso. Quanti sono i minori che vivono in questi nuclei? Sempre secondo il censimento generale dell’Istat, 529. Chiaro? 529. Anche ammettendo una certa quota di “non dichiarato”, è contro ogni legge della statistica ipotizzare cifre superiori a quelle dichiarate di oltre il 200%! Questa è una strategia chiarissima: diffondere nella società la sensazione che un enorme mutamento sociale sia in corso, che raggiunge proporzioni clamorose che necessitano una risposta legislativa. Come dimostrato questo è totalmente falso. Ciò detto, noi siamo favorevoli ad una legge che chiarisca quali diritti e doveri spettano a una persona per il sol fatto che essa viva in una stabile e duratura relazione affettiva. Qualsiasi relazione essa sia. È l’unica soluzione conforme al dettato costituzionale, che riserva alla famiglia, in virtù delle sue specificità sociali ed antropologiche, una serie di misure sociali ed economiche specifiche. Basta leggere l’art. 31 Cost: “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. È evidente il riconoscimento giuridico della stabile e progettuale relazione affettiva tra un uomo e una donna non rileva di per sé, per una questione di “amore”, come si sente spesso dire, ma perché in quel nucleo è riposta una speranza e un’attesa fondamentale per il progresso sociale. Cioè i figli.
I sostenitori della legge sul matrimono gay sostengono che la loro posizione tuteli i diritti dei bambini, ad esempio in caso di separazione di coppie omogenitoriali, ma non solo. Voi, d’altro canto, sostenete che la vostra posizione tuteli i diritti dei bambini, primo fra tutti quello ad avere un padre e una madre. Chi ha ragione, e perchè?
La legge tutela l’infanzia a prescindere da qualsiasi situazione di contorno. I minori sono destinatari di una legislazione speciale di protezione, che non dipende più dallo stato civile dei genitori: si tratta della parificazione tra lo stato di figlio cosiddetto legittimo e figlio naturale. Dal punto di vista del minore, dunque, il matrimonio è ininfluente. Le associazioni del movimento gay chiedono il riconoscimento legale della cosiddetta “omogenitorialità”, cioè il fatto che una persona possa avere “due padri” o “due madri”. Ma come avviene questa situazione, visto che in natura due uomini e due donne non possono realmente generare un figlio? Al di là di casi sporadici, la maggior parte dei bambini che vive con coppie omosessuali sono stati prodotti (e sottolineo prodotti) con tecniche di procreazione artificiale, dall’eterologa alla maternità surrogata. Si tratta di manipolazioni dell’esistenza altrui con cui si sceglie arbitrariamente di escludere dall’orizzonte esistenziale di una persona la figura paterna o quella materna, che pure sono essenzialmente legate alla sua esistenza. Riconoscere giuridicamente l’“omogenitorialità” significa dunque avallare questo fenomeno veramente lesivo dei diritti umani dei più indifesi. D’altro canto si mente spudoratamente quando si immagina che un figlio cresciuto in una coppia omosessuale rischi di essere sottratto al genitore “sociale” se quello “biologico” viene a mancare. La legge italiana provvede già a tutelare queste situazioni di fatto, permettendo l’adozione dell’orfano da parte della persona con cui questo abbia stabilito un legame saldo e duraturo. Si tratta di un criterio che vincola il Tribunale, che deve anche sentire l’opinione del minore per decidere. È vero, in caso di separazione il genitore “sociale” non vanta diritti né doveri verso il figlio, ma questa è la naturale conseguenza della premessa: il fatto che quel figlio sia stato generato con procreazione artificiale e non sia biologicamente legato al convivente di suo padre o sua madre. Ma questo vale anche in coppie eterosessuali. Tutti siamo figli di un padre e di una madre; è vero che questo non significa automaticamente che siano un buon padre e una buona madre, ma questo non permette a nessuno di decidere per noi, quando noi non possiamo esprimerci, che non dobbiamo avere nemmeno l’occasione di conoscerli.
Cosa ne pensa del decreto anti-omofobia, soprattutto in relazione ai molti casi di violenza fisica e verbale verso persone LGBT?
Penso che sia pericoloso e comunque del tutto inutile. Bisogna chiarirsi: il disegno di legge “Scalfarotto” cosiddetto “anti-omofobia” non ha il minimo valore preventivo, non c’entra nulla col prevenire casi di violenza o discriminazione. Si limita solo alla questione della pena. La pericolosità sta in ciò: che il concetto di “omofobia” è del tutto vago e indefinito. Il ddl non spiega che cosa sia l’omofobia, e non è possibile reperire altrove definizioni sufficientemente chiare da evitare che un Tribunale estenda a piacimento i confini del significato. Oggi poi sembra quasi che se non hai la tessera Arcigay sei un sospetto omofobo. La legge sarebbe comunque inutile perché il nostro Codice Penale punisce già ogni forma di violenza e discriminazione verso qualsiasi persona, comunque motivata. I “molti casi di violenza fisica e verbale verso persone omosessuali” che citi sono già oggi punibili e puniti nei Tribunali – giustamente! Perché allora questo intervento in più? Basta guardare la realtà: i nuovi “omofobi” sono quelli che contestano i progetti di riforma del diritto di famiglia del movimento gay. Si tratta allora di una legge-bavaglio che introduce un reato di “opinione omofobica”, indegna di uno Stato liberale.
Lei si definirebbe “omofobo”, o definirebbe così la sua associazione? Che definizione può darmi di omofobia?
Come detto, non esiste un riferimento certo in merito al concetto di omofobia. Ognuno può estendere a piacimento il significato: per qualcuno può significare praticare atti di violenza contro le persone omosessuali, per altri soltanto dirsi favorevole al requisito della diversità sessuale per accedere al matrimonio o all’adozione. È pensabile che un Tribunale possa avere una così ampia possibilità di arbitrio sulle opinioni delle persone? In ogni caso, non esiste definizione di omofobia a cui permetterei mai di essere ricondotto, o di veder ricondotta La Manif. Da subito e sempre abbiamo detto chiaramente che siamo contro ogni forma di violenza o discriminazione motivata dall’orientamento sessuale di una persona: atti ignobili giustamente perseguiti dalla legge, che meritano il più chiaro stigma sociale.
In tutto il mondo occidentale, le unioni gay, i matrimoni gay e l’adozione gay sono sempre più frequentemente riconosciuti dai governi. Perchè l’Italia ha fatto finora un percorso diverso? Pensa che continuerà a distinguersi in futuro?
In realtà l’immagine di un “progresso” che avanza inesorabile in merito a queste riforme non è realistica. Certo, molti paesi occidentali hanno apportato queste modifiche legislative. Ma come? Con quale processo decisionale e dibattimentale? In Francia e Spagna i matrimoni tra persone dello stesso sesso sono stati approvati a colpi di maggioranza dai governi socialisti, suscitando vere bufere politiche e sociali che hanno spaccato gli elettorati e che continuano oggi. Peraltro, Zapatero è stato sconfitto sonoramente alle successive elezioni politiche, e anche il Governo Hollande è in crisi nera, anche a causa di queste “ristrutturazioni” sociali (alle ultime elezioni di medio termine non è stato rieletto il relatore della legge sui matrimonio suddetti). In Germania c’è ancora resistenza ad estendere il matrimonio e l’adozione a coppie di persone dello stesso sesso, anche se lì c’è una forma di unioni civili. Negli Usa, poi, una serie di sentenze ha abbattuto leggi statali approvate con referendum popolari sui limiti al matrimonio e all’adozione. Insomma, se ci limitiamo a colorare i Paesi sulla cartina è un conto, ma se poi vediamo le dinamiche democratiche concrete scopriamo che il tema divide e fa discutere ancora ampiamente anche il mondo occidentale. Non escluso cambiamenti di marcia nei prossimi anni, soprattutto in Europa. Dal 2000 ben 10 stati europei hanno inserito la tutela della famiglia tradizionale in Costituzione, ma questo non lo si dice. Credo che l’Italia non abbia seguito quest’onda, fin’ora, per il minor grado di ideologizzazione su questi temi della popolazione, che, di fatto, non ha mai permesso a chi combatte per questi cambiamenti di avere saldamente in mano il Governo del Paese. La sinistra italiana, e in una certa misura Matteo Renzi lo conferma, non sembra avere la stessa radice socialista delle altre socialdemocrazie europee occidentali. Non posso predire il futuro, posso solo augurarmi che, nel rispetto dei giusti diritti di tutti, non si avallino anche da noi confusioni dannose per la società.
Lei scrive che “è la potenziale capacità procreativa dell’unione tra un uomo e una donna a differenziare il matrimonio dalle convivenze tra persone omosessuali”. Molti obietterebbero: dobbiamo negare il diritto a sposarsi anche a persone sterili dalla nascita?
Ho usato quelle parole per un tweet, ma non sono parole mie. Sono scritte nere su bianco nella sentenza (la 138 del 2010) con cui la Corte Costituzionale ha stabilito alcuni principi fondamentali: primo, quando la Costituzione parla di matrimonio e di famiglia, si riferisce a quella fondata sull’unione tra un uomo e una donna; secondo, limitare il matrimonio alla coppia di uomo e donna non viola alcun principio di uguaglianza perché, come appunto ho citato, “la potenziale finalità procreativa vale a distinguere il matrimonio dall’unione omosessuale”; terzo, il valore che la famiglia assume nella Costituzione è strettamente connesso con il suo essere dimensione di naturale accoglienza dei figli: questo costituisce un motivo di eccezionale interesse pubblico, perché la rigenerazione della società è il presupposto di qualsiasi progresso; quarto, i diritti delle persone che convivono in unione omosessuale sono da riconoscere secondo l’art. 2 della Costituzione, che parla di diritti individuali e non di diritti dell’unione in sé. Nei fatti, piaccia o no, la Corte avalla la visione delle cose che ha dato Ruini nella sua intervista. Questa sentenza è quella che attualmente detta la linea in fatto di costituzionalità delle pretese del movimento gay, ma è poco considerata e anzi molti la ignorano del tutto, come se ci si dovesse ancora esprimere in merito. Peraltro è la stessa Corte in questa sentenza a dire che la finalità procreativa del matrimonio è solo “potenziale”, nel senso che non può essere pretesa dallo Stato, e dunque non si può in alcun modo fare test medici sulla coppia per verificarne la fertilità, ché violerebbe essenziali diritti della persona. Ma questo fatto non permette comunque di stravolgere il principio costituzionale anche nella sua sola potenzialità ammettendo al matrimonio due persone dello stesso sesso, tra di loro semplicemente impossibilitate a procreare.
La teoria di gender: voi sostenete che “dal proprio sesso si è inconfondibilmente caratterizzati sin dal concepimento”. Senza aprire il discorso MtoF (da maschio a femmina/ndr) o FtoM, come spiegate l’esistenza di intersessuali?
Il fenomeno dell’intersessualità è causato da anomalie genetiche che confermano la regola biologica: l’essere umano è maschio o femmina, e questo carattere permea di sé non solo la fisionomia ma anche, per esempio, le principali funzioni dell’encefalo. Il cervello dell’uomo e della donna sono diversamente regolati dall’attività ormonale, e questo è il motivo di diverse attitudini tendenziali che caratterizzano uomini e donne in ogni parte del mondo, in ogni epoca storica. Questa è una ricchezza straordinaria per l’umanità. Giorgio Gaber diceva, in una citazione a cui teniamo moltissimo, che “all’Universo non importa nulla dei popoli e delle nazioni; l’Universo sa soltanto che senza due corpi differenti, e due pensieri differenti, non c’è futuro!” (tratta da ‘Secondo me la donna’). Ma a parte questo, parliamo tranquillamente anche del fenomeno della transessualità. A noi non interessa assolutamente nulla intrometterci nella vita privata delle persone, anche di quelle che, nate maschi o femmine, sentono di appartenere al sesso opposto. Critichiamo l’ideologia costruita sul concetto filosofico del “genere” per il fatto che oggi si tenta di imporla come unica “politicamente corretta”. Il danno è più grave dove questo avviene nelle scuole: negli asili girano già fiabe che “educano” alla fecondazione eterologa o all’utero in affitto come metodi di procreazione naturale, mentre nelle medie e nei licei il movimento gay organizza progetti per imporre l’ideologia del “genere” e decostruire quelli che chiama “stereotipi”, cioè che solo un uomo e una donna possono procreare. Contro questo danno alla libertà educativa delle famiglie ci siamo battuti duramente con molti successi. E continueremo a farlo.
Conosce “le cose cambiano” È la versione italiana dell’americana “It gets better”: aiutano adolescenti LGBT a capire che non saranno vittime del bullismo omofobico per sempre. Cosa ne pensa?
Sì conosco il progetto. Qualunque iniziativa vada nella direzione di aiutare persone in difficoltà che le portano spesso a vivere situazioni di grave disagio ed esclusione sociale sono più che opportune. Mi rammarica che spesso il movimento gay approfitti di queste occasioni benemerite per inserire elementi della loro battaglia politica, come appunto quella per la modifica del matrimonio e l’invenzione del “diritto al figlio”.
Lei afferma che si dicano “cose totalmente infondate “ della vostra associazione. Quali?
Su tutte quella che saremmo “anti-gay”. È un’espressione che non concepisco. È come se dicessero che siamo “anti-nuvole” o “anti-alberi”. Che senso ha? Noi non ci occupiamo di omosessualità. Difendiamo un sistema legale di identificazione, promozione e protezione della famiglia non perché corrisponde a un ideale morale o religioso, ma perché esso effettivamente genera bene comune e progresso. Contestiamo le pressioni del movimento gay in questo ambito, non su altro. Ognuno è libero di vivere la propria esperienza familiare con chi vuole e come vuole, ma è semplicemente assurdo pensare che lo Stato debba parificare ognuna di queste situazioni, dato che sono potenzialmente illimitate. Lo Stato protegge la famiglia tradizionale e la riconosce con l’istituto matrimoniale, come detto, per la sua potenziale finalità procreativa. Questo è un fatto pratico da cui le civiltà traggono beneficio per sopravvivere. Ben vengano rafforzamenti dei diritti individuali di chi vuole vivere in modo libero e sicuro il proprio sodalizio affettivo, ma la manomissione che si chiede oggi del matrimonio rischia di generare solo confusione e danni.