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Analisi giuridica del Pdl su Omofobia e Transfobia
Analisi giuridica del Pdl su Omofobia e Transfobia
Discorso di Ludovine de La Rochère
Storia dei gemelli Brian e David Reimer
Questo è lo spazio di tempo in cui potrebbero concludersi le discussioni sulle leggi contro omofobia e transfobia, sul matrimonio civile per coppie dello stesso sesso, e soprattutto le modifiche della legge sulla modificazione dell’attribuzione di sesso
Sei mesi: questo è lo spazio di tempo in cui potrebbero concludersi le discussioni sulle leggi contro omofobia e transfobia, sul matrimonio civile per coppie dello stesso sesso, e soprattutto le modifiche della legge sulla modificazione dell’attribuzione di sesso. Sei mesi è il tempo della speranza per il senatore Sergio Lo Giudice, del Partito Democratico, che ad una recente intervista a Mediexpress ha rivelato le prossime tappe delle discussioni, soffermando l’attenzione in modo particolare sulle proposte di modifica alla legge 164/82 sull’attribuzione del sesso, che Lo stesso Lo Giudice, con Rete Lenford, avvocatura per i diritti LGBT, Scalfarotto del PD, e Airola del M5S, hanno proposto nei mesi scorsi e che puntano ad accelerare i tempi di riattribuzione di nuove identità. Così, se fino ad ora la legge prevede l’apertura di un iter giudiziario per poter esaminare e poi rilasciare l’autorizzazione ad intervenire sul cambio chirurgico del sesso, nella nuova proposta questo passaggio non viene più considerato necessario. Se il cambio del nome anagrafico avveniva solo in seguito all’avvenuto intervento chirurgico, per cui era “naturale “ attribuzione di nome in base alla nuova identità sessuale (e fisica), in futuro potrebbe bastare una semplice richiesta al Prefetto, allegando la relazione psichiatrica che certifica la “Disforia di Genere”. Una proposta di legge che serve, di fatto a velocizzare un processo in cui per legge erano previsti tempi di attesa, e verifiche fondamentali, e che oggi rischia di diventare niente di più che un semplice impiccio burocratico, in cui anche il cambiamento degli attributi sessuali è considerato un’imposizione, e pensato come elemento non necessario ai fini del benessere psicofisico della persona. In questo senso va la giurisprudenza, e l’auspicio di Lo Giudice è che <>. << Un’ottima Proposta di Legge – come sottolinea il senatore PD – condivisa ed estesa da una rete di avvocati che fanno riferimento al movimento LGBT, e che ha avuto anche una serie di modifiche, di placet, da parte delle organizzazioni LGBT>>; una legge la cui modifica appare indissolubilmente legata alla discussione sulla leggecontro l’omofobia e transfobia, già passata alla Camera, e a quella sul matrimonio civile per persone dello stesso sesso, già calendarizzata al Senato. Tre goal da segnare in poco tempo, insomma, in un campo in cui le partite si giocano sul pressing. E il pressing in questo caso viene da una rete ben articolata di parlamentari impegnati nel promuovere, anche attraverso strumenti legislativi, i diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e trans gender, che comprende parlamentari del Partito Democratico, SEL e Movimento 5 Stelle. Una questione di tempo, quindi, giusto perché il parlamento adesso ha un attimo da fare nella discussione sul bilancio e <>. Peccato. Perchè a volte ci vuole tempo per fare e discutere, ci vuol il tempo per maturare le proposte, ci vuole tempo per cambiare le cose, e occorre affrontare gli ostacoli per renderle diverse. Per cambiare l’identità di una persona, invece, bisogna fare in fretta, a quanto pare. Sei mesi, più o meno.
In questi giorni si è svolto a Roma un meeting della Edge (Excellence and Diversity by GLBT Executives), la prima lobby italiana promotrice degli interessi della categoria “LGBT”, ovvero lesbiche-gay-bisessuali-transessuali, a sua volta parte della più ampia Egma (European Gay & Lesbian Managers Association). La Edge si occupa di promuovere politiche di accettazione e “valorizzazione” delle diverse “identità di genere” all’interno delle aziende, affinché le società possano trarre profitto economico dal rinnovato clima di serenità tra il personale.
Angelo Caltagirone, imprenditore siciliano trasferito in Svizzera nonché fondatore e presidente della Edge stessa, ha spiegato il ragionamento che sottende all’operato della sua lobby. Il quadro di partenza che a suo dire rappresenterebbe la realtà di oggi è presto detto. Primo: il 5-6% dei dipendenti di ogni azienda è omosessuale. Più che di un dato empirico quest’affermazione sembrerebbe l’espressione di un dogma (un dogma molto comodo) dal momento che non trova raffronto in alcuna indagine statistica, che infatti non viene affatto richiamata; secondo: questi lavoratori sono persone insicure e frustrate, che non rendono tutto il potenziale che l’azienda potrebbe sfruttare. La conclusione appare ovvia: il contrasto delle asperità di matrice “omofobica” negli ambienti di lavoro migliora lo stato d’animo dei dipendenti, dunque la loro rendita, dunque il profitto generale.
Non c’è alcun dubbio sul fatto elementare per cui una persona felice vive meglio (e dunque anche lavora meglio). La vera domanda è se sia reale il quadro critico delineato da Caltagirone, che giustificherebbe la peculiarità della sua lobby, o se la Edge fosse solo l’ennesima espressione di quell’apparato di categoria che si batte per rivoluzionare l’ordinamento sociale vigente quanto ai soliti temi dell’antropologia familiare e sessuale, non avendo quindi nulla a che spartire con la lotta alle discriminazioni di genere.
Sorprendentemente, è lo stesso manager che getta nel discredito la supposta urgenza della sensibilizzazione, per cui tanto si batte, quando afferma serenamente che, dati Istat alla mano, non è possibile sostenere che l’Italia sia un Paese omofobo. Certo, chiarisce, capita il verificarsi di episodiche discriminazioni (a parte l’ultimo tragico suicidio nella Capitale, i cui profili causali sono tuttora al vaglio della magistratura), ma il fenomeno non assume il carattere della generalità. Caltagirone ammette così implicitamente, dunque, che non sussiste alcuna emergenza in ordine al soccorso di quell’ipotetico “5-6%” di lavoratori omosessuali sparsi nelle aziende italiane: questi lavoratori con tendenze omosessuali non sarebbero infatti vittima di alcun clima “omofobico”, non sarebbero affatto persone depresse e abbrutite e quindi non avrebbero alcun bisogno dei suoi servizi.)
Se la storia finisse qui, la Edge potrebbe passare i prossimi anni con le mani in mano. D’altro canto emerge però che essa è attivamente impegnata in una pervasiva opera di pressione politica e di finanziamento economico (il core business di una lobby degna di questo nome, dopotutto) volta alla parificazione nell’ordinamento civile del matrimonio eterosessuale con le unioni omosessuali . Ritorna sempre, dunque, lo stesso tipico refrain del caso: dietro un manto di belle parole di pacificazione civica (di cui, come ampiamente visto e confermato, non c’è alcun bisogno), c’è invece un reale intento di natura squisitamente politica.
La nascita di un figlio si accompagna ad una serie di attese e attenzioni che i genitori hanno verso il loro bambino, e la salute è sicuramente la prima e più importante. La salute fisica e quella psichica, ma soprattutto quest’ultima, sono delicate perché legate alla crescita e allo sviluppo del bambino che risentono di molti fattori. Il contesto familiare soprattutto, ma anche quello sociale e culturale, nel quale il bambino cresce e si sviluppa è fondamentale e, al di là di molte difficoltà che la famiglia oggi incontra, da sempre la letteratura scientifica pediatrica e psicopedagogica sottolinea il ruolo insostituibile del padre e della madre nella crescita serena e armoniosa del bambino.
In questo quadro si situano le problematiche legate ai disturbi dell’età evolutiva, che come dice la parola è età caratterizzata da continue trasformazioni fisiche e psichiche, che procedono insieme, stimolate e condizionate dall’ambiente familiare (dove le dinamiche relazionali con la figura materna e con quella paterna hanno un ruolo centralissimo nella formazione della propria identità) e sociale. E’ stato visto che proprio in ambienti di disagio familiare si sviluppano la stragrande maggioranza dei disordini legati all’identità sessuale (G.I.D.) dell’infanzia (secondo la letteratura il 95% dei casi).
Alla Regione Toscana è stato chiesto dal primario del reparto di Medicina della Sessualità dell’ospedale Careggi di Firenze, di poter effettuare trattamenti ormonali su bambini con questi problemi con la motivazione, quanto mai bizzarra, di consentire al piccolo paziente (preadolescente) di avere tempo di orientarsi verso il “sesso che sente”! In linea con le conclusioni della rivista Pediatrics chiediamo che l’opinione pubblica sia informata, veramente, dei gravi rischi psicologici e fisici della soppressione puberale ormonale nei bambini, e chiediamo che siano resi noti i reali benefici di tali supposte terapie. Chiediamo come mai invece di usare i bambini come cavie, non si aiutino loro e le loro famiglie ad uscire da un disagio di natura psicologica, attraverso un accompagnamento psicoterapeutico adeguato.
Riteniamo che questa richiesta, in realtà, presupponga degli assunti ideologici per i quali l’identità di genere (cioè il sentirsi appartenente al sesso biologico dato) escluda il dato biologico-anatomico, per dipendere esclusivamente dal dato culturale-sociale e da ciò che ognuno si sente di essere.
Quindi alla luce delle autorevoli pubblicazioni scientifiche contrarie a questi trattamenti, le quali hanno evidenziato che i problemi il più delle volte sono psichici o legati a fattori socio culturali, educativi, familiari (appurato che c’è ancora molto da indagare perché i trattamenti ormonali hanno un’invasività che può risultare drammatica, specie nei bambini) nonché alla luce dell’obiettivo primo della medicina (primum non nocere!), chiediamo formalmente alla Regione Toscana di non dar corso ad alcuna autorizzazione “sperimentale” di impiego di terapie ormonali sui bambini nel senso e con le finalità indicate dal Primario di Medicina della Sessualità di Careggi, e a promuovere piuttosto ogni ricerca in questo campo, attingendo esclusivamente a studi scientifici di comprovata autorevolezza, onde evitare di utilizzare dei bambini come vere e proprie “cavie umane”.
30 Ottobre 2013
Un ventunenne romano si è suicidato pochi giorni fa, gettandosi dall’undicesimo piano di un edificio in via Casilina, denunciando nel suo ultimo scritto il clima di “omofobia” che lo ha condotto al gesto disperato in quanto gay. Non è la prima volta che nella capitale si verificano episodi di disagio, legato al proprio orientamento sessuale.
La tragedia ha rinfocolato le polemiche nell’ambito del serissimo dibattito sulla considerazione delle persone con tendenze omosessuali nel nostro Paese e nel nostro ordinamento giuridico. La prima indispensabile condizione per affrontare il discorso – che si fa a volte spinoso nelle sue non banali articolazioni etiche, sociali e giuridiche – è comprendere l’entità del problema per rimediarne una soluzione concreta; la condizione consequenziale è il chiaro abbandono di logiche di demagogica strumentalizzazione: sopravvive la deprecabile tendenza di quelli che, affetti dalla smania di guardare alla società per categorici (e spesso ideologici) compartimenti, si affrettano ad “appropriarsi” anche dei più tristi fatti di cronaca pur di guadagnare “punti” alle proprie prerogative, spesso politiche – fondate o meno che siano.
Ci si riferisce allo sciame di associazioni e comitati per la propaganda dei “diritti civili” delle persone con orientamenti omosessuali (sulla cui effettiva rappresentatività sarebbe da discutere con precisione) che, alla notizia, si è alzato in volo rappresentando ad una voce l’esigenza improrogabile dell’ormai nota legge anti-omofobia, che attende l’esame del Senato dopo una prima e assai discussa approvazione alla Camera.
Questa legge introdurrebbe nell’ordinamento italiano una specifica aggravante per quegli atti, in sé ovviamente già puniti, di diffusione della o incitamento alla discriminazione quando motivati da (indefiniti) sentimenti di “omofobia” e “transfobia”. La previsione normativa generale riguarda la tutela delle persone contro materiali attività discriminatorie manifestamente lesive della loro dignità personale, ma ciò, evidentemente, in tutti i contesti in cui tali comportamenti possano effettivamente ricadere entro i netti confini presidiati dal diritto penale. E’ noto il fatto che esistano e siano anzi maggioritarie forme di esclusione o incomprensione sociale o familiare penalmente del tutto irrilevanti, ma non per questo moralmente e socialmente meno significative: ed è proprio in questo secondo profilo che, a ben vedere, ricadono i fatti di cronaca di cui si tratta.
Abbandonare la demagogia significa quindi riconoscere che una legge “contro l’omofobia” non avrebbe avuto comunque nulla a che vedere con le tragiche dinamiche che hanno portato a così infausti esiti. Dinamiche che rivelano un’insicurezza esistenziale già a livello familiare e che sarebbe illusorio, certamente riduttivo e inutile, degradare a mere questioni di sanzione penale. Ciò che conduce a questi atti disperati (incomprensioni, ambiguità, timori, silenzi, sguardi, voci..) si muove, fluido, nello spazio del penalmente irrilevante e, piaccia o no, può essere contrastato solamente con un rinnovato slancio di contenuto prettamente ed autenticamente morale, che pretende innanzitutto l’abbandono delle ideologiche prese di posizione in tema di diritti civili, che non c’entrano nulla e servono solo ad esasperare il clima sociale, nonché, spesso, a creare “mostri” e “colpevoli morali” di queste sciagure.
Una triste prova è data dalle parole lasciate dal giovane suicida, e strumentalizzate poi dalle associazioni. Il ragazzo ha scritto infatti che “l’Italia è un paese libero, ma esiste l’omofobia e chi ha questi atteggiamenti deve fare i conti con la propria coscienza”. Quest’espressione non dice quel che altri vogliono che dica, ma nel senso che dice molto di più. E’ pacifico dover intendere per “omofobia” tutti quegli “atteggiamenti” che il giovane ha incontrato, subendoli, sulla sua strada (sulla cui consapevolezza è lecito dubitare, dal momento che gli stessi genitori del ragazzo si sono dichiarati completamente all’oscuro degli orientamenti sessuali del figlio e, dunque, delle sue angosce). Ma è anche estremamente sintomatico che la responsabilità per quegli atteggiamenti venga da lui ricondotta espressamente ad una questione di coscienza, evidentemente l’unico tribunale davanti al quale possono trovare la loro giusta ammenda.
Ed è allora sulla coscienza personale e sociale delle persone che, chi di dovere ed in primis le famiglie, devono operare una sapiente educazione al valore primario e indissolubile della dignità umana. Pretendere che una legge possa magicamente imporre dall’alto una nuova abitudine nazionale, correndo per altro il concretissimo rischio di travolgere, nella sua foga ideologica, anche manifestazioni di pensiero e opinione del tutto lecite(come esprimere la propria posizione, ad esempio, sull’estensione del matrimonio a coppie omosessuali o permettere a queste l’adozione di minori – si rammenti il “caso Barilla”), pretendere una reazione così abnorme, dunque, significherebbe aggravare di molto il problema cui si vorrebbe rimediare. Significherebbe ignorarlo, sacrificando sotto i colpi del “mio diritto” il valore della diversità, “mio dovere”.
La teoria di genere si insegna sui banchi di scuola, e si supera. E’ iniziato lo scorso 22 ottobre nell’Istituto Gritti di Mestre il progetto formativo “A proposito di genere”, promosso dalla Commissione provinciale per le Pari Opportunità tra Uomo e Donna in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Territoriale di Venezia, e rivolto a tutti gli insegnanti degli istituti comprensivi del territorio veneto. L’obiettivo – si legge nel testo del progetto – “non è tanto quello di annullare gli stereotipi, cosa peraltro impossibile, ma quello di acquisire la capacità di coglierli e saperne andare oltre”, imparare a relazionarsi con l’altro. Il punto di partenza di un percorso che impegnerà i docenti fino allafine di aprile del 2014 è la riflessione personale, l’acquisizione di consapevolezza sull’influenza degli stereotipi di genere nella pratica professionale. Da qui si articolano i quattro moduli formativi, che puntano ad analizzare gli stereotipi di genere nella pratica dell’insegnamento, e nei materiali didattici della scuola: tre incontri teorici e due incontri progettuali, per sviluppare infine “un’attività o di un percorso educativo “antistereotipo di genere” che potranno realizzare in classe”.
Un percorso di educazione, insomma. Un cammino che punta a formare nuove menti, e nuove mentalità, cancellando quello che si è acquisito e conosciuto come naturale, e che partendo dalla (ri)formazione degli insegnanti – e attraverso la rivisitazione critica di libri di testo, fiabe, filmati -punta a plasmare le idee dei più giovani. Anzi, dei bambini, perché nei criteri di selezione dei partecipanti al progetto, si legge che “la distribuzione tra i diversi ordini scolastici darà precedenza alle scuole infanzia e primaria”. Sono così i più piccoli i primi destinatari di questa nuova operazione di riconsiderazione della realtà; sono loro gli inconsapevoli protagonisti di un percorso pericoloso, chepunta ad affermare la teoria di genere come pensiero unico, e mostra le sue contraddizioni nel proporre stereotipi, nel crearne di nuovi, per poi pretendere di annullarli.
Un percorso che è solo una delle iniziative sulla diffusione della teoria di genere intrapresa negli ultimi anni dall’Ufficio scolastico territoriale di Venezia, e rientra in un sistema didattico varato nel progetto “CHE GENERE DI CULTURA?”, nato nel 2011 dopo la firma del Protocollo d’intesa con la Commissione per le Pari Opportunità tra donna e uomo della Provincia. Nel programma del progetto – siglato nel giugno 2011, sulla scia del “Documento d’indirizzo sulla diversità di genere” sottoscritto dal MIUR e dal Dipartimento per le Pari Opportunità – si sottolinea l’esigenza di una “didattica sensibile alle differenze di genere”, e punta ad elaborare “proposte educative e iniziative di formazione che contribuiscano a promuovere una riflessione critica utile ad abbattere barriere ideologiche e culturali e stereotipi radicati”. Da qui i progetti formativi e il concorso “Che Genere di scuola?”, rivolto alle scuole superiori ad indirizzo artistico e grafico, per creare per un manifesto di orientamento scolastico libero da condizionamenti, e promuovere un orientamento scolastico che, ancora una volta,contrasti con gli stereotipi di genere, e contro le stantie classificazioni di maschile e femminile.
Venezia quindi è l’avanguardia del nuovo sistema scolastico, che partendo da una nuova scala di valori, punta ad essere al passo con i tempi, e a formare l’ identità delle generazioni future, a superare le differenze, azzerare le diversità naturali, perdere di vista la verità. La scuola del pensiero unico dominante comincia da qui.
Roma, 28 ottobre 2013
“La Manif Pour Tous Italia si stringe attorno al dolore della famiglia e desidera esprimere le più sentite condoglianze e vicinanza ai genitori di Simone, giovane studente che si è tolto la vita nella notte a Roma.
Auspichiamo che le Istituzioni e le autorità competenti possano fare piena luce su questa tragedia.
La Manif Pour Tous Italia condanna fermamente ogni atto di umiliazione, derisione e violenza nei confronti delle persone con tendenze omosessuali, ricordando che persegue nella sua battaglia antropologica il rispetto delle diversità, e non la discriminazione. Pertanto, continueremo a ribadire l’importanza della libertà d’espressione e a difenderla con ancora più forza nelle piazze, in rete, sui social network.
E’ importante non strumentalizzare quanto accaduto. Dopo questa tragedia, e in un momento così delicato, chiunque griderà alla corsa verso leggi inique e lesive della libertà di espressione non farà altro che nascondere un problema, creandone uno nuovo, altrettanto pericoloso”.
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PARLAMENTO EUROPEO: OFFENSIVA GENDER E FILIAZIONE FASULLA!
La Manif Pour Tous Italia esprime la propria allarmata opposizione alla proposta di Risoluzione che il Parlamento Europeo discuterà martedì 22 ottobre 2013, la quale intende garantire l’accesso alle tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita, in tutta l’Unione, a qualunque coppia lesbica o donna single; la proposta incoraggia la più ampia e positiva accoglienza dell’ideologia gender, perché possa finalmente scardinarsi l’ordinamento sociale maturato nel corso dei millenni intorno alla famiglia. Un ordinamento, secondo questa ideologia, essenzialmente “discriminatorio”.
Una Risoluzione ufficiale del Parlamento UE sarebbe un atto di mero indirizzo politico; è tuttavia assai frequente che la Commissione UE, recependone il contenuto, lo rifondi a sua volta in una Direttiva o un Regolamento, atti che per loro natura sono invece in grado di vincolare giuridicamente le legislazioni di tutti gli Stati dell’Unione verso i fini in essi espressi. Fondato ed elevatissimo, dunque, l’allarme per la libertà della nostra democrazia.
NO ALL’INDOTTRINAMENTO PRO “GENDER” NELLE NOSTRE SCUOLE!
Con totale disprezzo del diritto all’educazione morale di bambini e adolescenti da parte esclusiva delle loro famiglie, la proposta immagina una massiccia presenza di corsi scolastici fondati sulla riscrittura dell’educazione sessuale in chiave gender e, dunque, sul presupposto di quel concetto vago, indefinito e antiscientifico della cosiddetta identità di genere, tale per cui le attribuzioni di “maschio” e “femmina” sarebbero convenzioni sociali artificiali che devono essere smantellate per far luogo a quella identità che l’individuo vorrà assumere (nel tempo) secondo proprie esclusive prerogative psico-attitudinali.
Contro questo tentativo La Manif Pour Tous Italia – ribadendo in primis il diritto esclusivo della famiglia all’educazione morale ed antropologica dei propri figli – riafferma convintamente che l’unica educazione sessuale responsabile e veritiera si fonda sul riconoscimento della differenza tra maschio e femmina sulla loro complementarietà.
I genitori vengono gravemente privati – dalla proposta di Risoluzione – dei loro diritti naturali, così come riconosciuti e sanciti anche nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (art. 26), per cui “I genitori hanno diritto di priorità nella scelta di istruzione da impartire ai loro figli”. La proposta di risoluzione li degrada e li confina invece al rango di semplici consulenti, tra i tanti di cui la società dispone, depotenziando così l’ossatura naturale della famiglia e ciò su cui innanzitutto essa si edifica: il ruolo decisivo di primi educatori del padre e della madre. Il carattere obbligatorio di questa sfrenata dis-educazione sessuale e antropologica dei bambini travalica il contesto scolastico e pretende di dettar legge anche in quello familiare, mettendo in discussione il principio cardine della potestà genitoriale.
NO ALLA “PRODUZIONE” DI FIGLI DELIBERATAMENTE ORFANI DI PADRE! – NO ALLE MISTIFICAZIONI SULLA PROCREAZIONE DI FIGLI! – PRECEDENZA ASSOLUTA AI DIRITTI DEI BAMBINI!
Secondo una farsesca e fumosa applicazione del principio di non discriminazione, la proposta di risoluzione vorrebbe assicurare la “procreazione per tutti”, permettendo anche alle “donne single e lesbiche di beneficiare di trattamenti di fertilità e di servizi di procreazione medicalmente assistita”.
La Manif Pour Tous Italia denuncia in proposito l’intensa pressione esercitata in questo ambito presso le istituzioni europee dalle lobby gender affinché, una volta in vigore una nuova normativa europea generale, decadano automaticamente i vincoli e i limiti imposti, quanto alla fecondazione artificiale, dai singoli ordinamenti nazionali; la legge italiana, che per l’accesso a questa pratica fissa i requisiti della diversità di genere di una coppia di coniugi o conviventi, impossibilitata alla fecondazione naturale a causa di infertilità o altre patologie, sarebbe quindi completamente riscritta in chiave permissivista.
L’unico barlume di ragionevolezza della proposta rimane nel rigetto delle pratiche di maternità surrogata, cioè la possibilità per coppie gay o per uomini single di “affittare” l’apparato riproduttivo di una donna per “avere un figlio”.
È fondato e prossimo il pericolo che la libertà educativa delle famiglie italiane venga soppiantata dall’indottrinamento gender dei loro figli nelle scuole; è fondato e prossimo il pericolo che le figure genitoriali vengano private dei loro diritti naturali di primi educatori morali dei loro figli; è fondato e prossimo, infine, il pericolo di una nuova generazione di figli senza famiglia, anche in Italia. Per questi motivi, La Manif Pour Tous Italia invita ciascuno ad un gesto di responsabilità, scrivendo ai parlamentari italiani eletti al Parlamento Europeo affinchè si adoperino per respingere una simile, nefasta proposta di risoluzione.
LMPT Italia
L’Associazione La Manif Pour Tous - Italia, nasce in stretto legame con l’omonima associazione francese, con lo scopo di mobilitare i cittadini italiani di tutte le confessioni religiose, politiche e culturali e risvegliarne le coscienze in merito alle problematiche riguardanti le recenti proposte di legge su omofobia e transfobia, teoria del gender, matrimoni e adozioni a coppie omosessuali. Il suo scopo è garantire la libertà di espressione, preservare l’unicità del matrimonio tra uomo e donna e il diritto del bambino ad avere un padre ed una madre.
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