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Omofobia, l’UNAR passa alle minacce

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Prove tecniche di arroganza burocratica tipica dei regimi totalitari. Questa volta è toccato all’ineffabile Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale (UNAR). Il suo solerte direttore, Marco De Giorgi, non ha evidentemente gradito – e lo si può umanamente comprendere – l’appello lanciato dalla Manif pour Tous Italia (http://citizengo.org/it/5190-dimissioni-direttore-unar-giorgi) e pubblicato da CitizenGo, per chiedere le sue dimissioni, a seguito della pasticciata e ben nota vicenda dei libretti “Educare alla Diversità” commissionati all’Istituto A.T. Beck dallo stesso UNAR.

De Giorgi, personalmente risentito per l’iniziativa a suo danno, ha pensato bene di impegnare il proprio Ufficio inoltrando a CitizenGo una missiva avente per oggetto «Comunicazione urgente ai sensi della direttiva 31/2000». Questo il testo (gli errori e i refusi sono nell’originale):

«Gentili Responsabile, Ho letto il testo della petizione su ‘direttore U.N.A.R.’ che contiene molte notizie erronee e infondate che riguardano il lavoro del mio Ufficio la cui missione consiste nel contrasto alla violenza e alle discriminazioni. Le affermaziono sono ai limiti della diffamazione e rigaurdano fatti che sono stati già oggetto di esame e di archiviazione da parte dei competenti uffici amministrativi. Essendo aberranti le notizie riportate, ne chiedo la immediata cancellazione ai sensi della normativa comunitaria e di recepimento della direttiva 31/2000 sulla responsabilita dei provider e di chi ospita le sezioni sul web Tale normativa prevede infatti che una responsabilità di codesta società scatti una volta pervenuta la presente segnalazione. Tanto si rappresenta ai conseguenti effetti di legge, con ogni riserva di azione legale».

Lo stile tradisce il coinvolgimento emotivo personale del direttore, ma non attenua la gravità dei toni. Stupisce, infatti, la genericità e l’indeterminatezza dei rilievi sollevati, anche perché lanciare imprecisati avvertimenti e vaghe allusioni minatorie non meglio specificate, appartiene ad un modus operandi di altro livello, che nulla ha a che vedere con il profilo istituzionale cui dovrebbe essere tenuto un ente governativo.

Visto che non ha voluto essere chiaro, proviamo noi a porre sette domande a Marco De Giorgi.

1. Forse il direttore dell’UNAR considera falsa, diffamante ed aberrante la notizia riportata – e non smentita – da diversi quotidiani il 15 febbraio 2014, secondo cui  il Sottosegretario per le Pari Opportunità Maria Cecilia Guerra, sconfessando l’operato dello stesso UNAR, ha affermato: «Di questa ricerca ignoravo addirittura l’esistenza»?

2. Forse il direttore dell’UNAR considera falsa, diffamante ed aberrante la notizia riportata dagli stessi quotidiani, secondo cui il Dipartimento delle Pari opportunità ha emanato «una nota formale di demerito allo stesso direttore dell’UNAR per la diffusione nelle scuole di materiale mai approvato, e addirittura mai conosciuto dagli organi competenti a disporne la relativa autorizzazione»?

3. Forse il direttore dell’UNAR considera falsa, diffamante ed aberrante la notizia riportata sempre dagli stessi quotidiani secondo cui il  Viceministro Guerra ha lamentato «l’abusivo utilizzo del logo della Presidenza del Consiglio – Pari Opportunità», e l’assoluta mancanza di una specifica informazione al riguardo?

4. Forse il direttore dell’UNAR considera false, diffamanti ed aberranti le parole pubblicamente espresse dal Sottosegretario Cecilia Guerra, secondo cui «una materia così sensibile richiede particolare attenzione ai contenuti e al linguaggio, poiché questa attenzione, quando si parla a nome delle istituzioni, ricade nella responsabilità delle autorità politiche, che devono però essere messe nella condizione di esercitarla!», non essendo «accettabile che materiale didattico su questi argomenti sia diffuso tra gli insegnanti da un ufficio del Dipartimento Pari opportunità senza alcun confronto con il Ministero dell’Istruzione, della Ricerca e dell’Università»?

5. Forse il direttore dell’UNAR considera falso, diffamante ed aberrante il giudizio pubblico espresso da un altro Sottosegretario, quello all’Istruzione, Gabriele Toccafondi, il quale ha dichiarato grave «Il fatto che gli opuscoli sulla diversità siano stati redatti dall’UNAR e diffusi nelle scuole senza l’approvazione del Dipartimento Pari Opportunità da cui dipende, e senza che il Ministero dell’Istruzione ne sapesse niente», invitando «chi dirige UNAR a trarne le conseguenze»? Se così fosse, De Giorgi avrebbe dovuto rivolgersi direttamente agli onorevoli Cecilia Guerra e Gabriele Toccafondi, e non a CitizenGo e La Manif pour tous, anche se comprendiamo come nei confronti di questi ultimi sia più facile lanciare minacce.

6. Forse il direttore dell’UNAR considera falso, diffamante ed aberrante il contenuto della interpellanza parlamentare inoltrata dai senatori Carlo Giovanardi, Maurizio Sacconi, Roberto Formigoni, Luigi Compagna, Federica Chiavaroli e Laura Bianconi sulla vicenda degli opuscoli “Educare alla diversità”, in cui è stato censurato il fatto che l’UNAR si fosse «avvalso della collaborazione dell’Istituto Beck, il cui sito, nella parte che riguarda l’omofobia, contiene pesanti giudizi sulla religione cattolica e sul ruolo educativo della Chiesa nella società», e il fatto che «tali giudizi o meglio pregiudizi» fossero stati «inseriti nei tre opuscoli con l’ennesima inaccettabile critica al ruolo educativo della famiglia, e della morale cristiana, confondendo la lotta all’omofobia con inaccettabili ed offensivi apprezzamenti negativi sul ruolo di istituti fondamentali nella storia e nella cultura del nostro Paese»?

7. Forse il direttore dell’UNAR considera falso, diffamante ed aberrante il fatto che nella citata interpellanza sia stato richiesto «per quali motivi l’UNAR avesse scelto come consulente proprio l’Istituto Beck la cui scuola di pensiero è clamorosamente di parte», e «quali iniziative intendesse intraprendere per bloccare la distribuzione di questo materiale nelle scuole»? Beh, ma se così fosse, perché De Giorgi non se la prende con i senatori Giovanardi, Sacconi, Formigoni, Compagna, Chiavaroli e Bianconi, anziché minacciare CitizenGo e La Manif pour tous? Domanda ovviamente retorica, la cui risposta non necessita spiegazioni ad una mente di media intelligenza.

Il punto, invece, seriamente inquietante è capire quale idea abbia Marco De Giorgi della libertà, ed in particolare della libertà religiosa. Giacché siamo convinti che egli abbia almeno letto gli opuscoli “Educare alla diversità”, il cui contenuto rivendica con orgoglio, passione e zelo, spieghi a noi profani della discriminazione alcuni passaggi che ci risultano alquanto preoccupanti. Mi riferisco, in particolare, al passo in cui testualmente si afferma che «i tratti caratteriali, sociali e culturali, come il grado di religiosità, costituiscono fattori importanti da tenere in considerazione nel delineare il ritratto di un individuo omofobo», e che «appare evidente come maggiore risulta il grado di cieca credenza nei precetti religiosi, maggiore sarà la probabilità che un individuo abbia un’attitudine omofoba».

Ci spieghi, poi, cosa significa che «l’omofobia continua a essere rinforzata nell’interazione quotidiana con altri individui omofobi, nella ricezione costante di messaggi omofobi, subliminali o espliciti, da parte di istituzioni o e organizzazioni religiose». Ci spieghi, ancora, il significato di questa precisazione contenuta nei libretti: «Per essere più chiari, vi è un modello omofobo di tipo religioso, che considera l’omosessualità un peccato».

E ci dica se lui è davvero personalmente convinto di dover condannare il catechismo della Chiesa cattolica sostenendo quanto scritto negli opuscoli, ovvero che «un pregiudizio diffuso nei paesi di natura fortemente religiosa secondo cui il sesso vada fatto solo per avere bambini», può determinare la considerazione omofoba per cui «tutte le altre forme di sesso, non finalizzate alla procreazione, sono da ritenersi sbagliate».

Se questa è l’idea di omofobia che ha il direttore dell’UNAR c’è davvero di che essere allarmati. Soprattutto nella malaugurata ipotesi in cui, attraverso l’approvazione del disegno di legge Scalfarotto attualmente in discussione al Senato, si dovesse estendere agli omofobi l’applicazione della Legge Reale Mancino.

Siamo anche molto preoccupati per sua eminenza il cardinale Angelo Bagnasco, reo di aver contestato il lavoro di cui De Giorgi va tanto fiero. Nella sua recentissima e magistrale prolusione, infatti, il porporato ha trovato il coraggio di affermare al punto 6: «In questa logica distorta e ideologica, si innesta la recente iniziativa – variamente attribuita – di tre volumetti dal titolo “Educare alla diversità a scuola”, che sono approdati nelle scuole italiane, destinati alle scuole primarie e alle secondarie di primo e secondo grado. In teoria le tre guide hanno lo scopo di sconfiggere bullismo e discriminazione – cosa giusta –, in realtà mirano a “istillare” (è questo il termine usato) nei bambini preconcetti contro la famiglia, la genitorialità, la fede religiosa, la differenza tra padre e madre… parole dolcissime che sembrano oggi non solo fuori corso, ma persino imbarazzanti, tanto che si tende a eliminarle anche dalle carte. È la lettura ideologica del “genere” – una vera dittatura – che vuole appiattire le diversità, omologare tutto fino a trattare l’identità di uomo e donna come pure astrazioni. Viene da chiederci con amarezza se si vuol fare della scuola dei “campi di rieducazione”, di “indottrinamento”. Ma i genitori hanno ancora il diritto di educare i propri figli oppure sono stati esautorati? Si è chiesto a loro non solo il parere ma anche l’esplicita autorizzazione? I figli non sono materiale da esperimento in mano di nessuno, neppure di tecnici o di cosiddetti esperti. I genitori non si facciano intimidire, hanno il diritto di reagire con determinazione e chiarezza: non c’è autorità che tenga». Neppure quella dell’UNAR, con buona pace di De Giorgi.

P.S. Un consiglio sincero, anche se non richiesto, al Direttore dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale: sia più prudente, riflessivo e pacato nelle esternazioni ufficiali, soprattutto quando parla a nome dell’ente che rappresenta, altrimenti rischia di confermare lo spietato giudizio che un grande giornalista come Piero Ostellino gli ha affibbiato dalle colonne del Corriere della Sera il 4 gennaio 2014 con il noto editoriale intitolato: “Il burocrate ignora il senso del ridicolo”.

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

 

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Gender a scuola, ecco quelli che non ci stanno

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Negli opuscoli si sostiene, tra le altre perle, che “i tratti caratteriali, sociali e culturali, come il grado di religiosità, costituiscono fattori importanti da tenere in considerazione nel delineare il ritratto di un individuo omofobo”; mentre, tra i consigli agli insegnanti di scuola elementare, c’è quello di non alludere mai al fatto  “che un bambino da grande si innamorerà di una donna”.  Niente di strano, quindi, se associazioni come la Manif pour tous Italia, che riuniscono genitori determinati a non consegnare i propri figli ai campi di rieducazione del Minculpop Lgbt, hanno deciso di lanciare una raccolta di firme per chiedere le dimissioni del direttore dell’Unar, Marco De Giorgi. Il quale, risentito, ha scritto una letteraccia a CitizenGo, un sito che ha rilanciato l’appello de La Manif Pour Tous Italia, chiedendone “l’immediata cancellazione”. Rimane il fatto che la diffusione dei libretti è stata per ora sospesa. Segno che il problema c’è, grande come una casa, e che la vicenda non è affatto chiarita, soprattutto sul punto delle competenze dell’Unar e dei poteri del suo direttore. Nuova puntata del giallo dell’anno: chi ha autorizzato l’Unar, Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali diretto da Marco De Giorgi, a commissionare (a spese dei contribuenti) e a diffondere tra gli insegnanti di ogni ordine e grado i tre opuscoli intitolati “Educare alla diversità a scuola”? Da quei rozzi prodotti dell’ideologia del gender travestiti da strumenti di lotta all’omofobia, si sono dissociati più volte i due ministeri interessati alla faccenda, nelle persone dell’ex sottosegretario alle Pari opportunità, Maria Cecilia Guerra, e di Gabriele Toccafondi, tuttora sottosegretario del Miur. Non eravamo nemmeno stati informati, hanno ripetuto in più occasioni.

Non ha però ancora avuto risposta l’interpellanza con cui i senatori Carlo Giovanardi, Maurizio Sacconi, Roberto Formigoni, Luigi Compagna, Federica Chiavaroli e Laura Bianconi hanno chiesto al governo lumi sulla genesi dell’iniziativa “Educare alla diversità”. Mentre una risposta è stata data all’ennesima interpellanza presentata alla Camera sul caso Unar. L’hanno sottoscritta una cinquantina di deputati di diverse formazioni politiche, e vi si chiede, hanno spiegato in una conferenza  stampa i deputati Alessandro Pagano ed Eugenia Roccella, quale sia il ruolo e la competenza dell’Unar che, senza essere stato mai autorizzato “né dal ministero dell’Istruzione, né dal ministero delle Politiche sociali, è entrato nelle scuole, anche primarie, promuovendo la cosiddetta ‘ideologia del gender’, tramite progetti educativi extracurricolari e piani formativi realizzati ad hoc, senza alcun coinvolgimento o assenso dei genitori che, secondo la Costituzione, sono titolari della piena responsabilità educativa dei figli”. La risposta del governo ha confermato solo quel che si sapeva già: dall’operazione “Educare alla diversità”, concepita per le scuole, sono state arbitrariamente escluse le associazioni famigliari, in barba a quanto lo stesso Miur prescrive in tema di coinvolgimento dei docenti e delle famiglie: le 29 associazioni selezionate per contribuire al progetto, appartengono tutte al mondo Lgbt. Ieri è stata anche presentata una proposta di legge, a prima firma Roccella, sulla libertà di educazione nelle scuole e sulla condivisione del progetto educativo tra scuola e famiglia, perché i genitori non debbano trovarsi nuovamente di fronte a sgradevoli fatti compiuti. Sembrava ovvio, non lo è più.

© – FOGLIO QUOTIDIANO

di Nicoletta Tiliacos

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TUTTI I BAMBINI HANNO IL DIRTTO AD AVERE UNA MAMMA ED UN PAPA’

TUTTI I BAMBINI HANNO IL DIRTTO AD AVERE UNA MAMMA ED UN PAPA
Storia di Manuel, cresciuto da un padre gay
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Pubblichiamo una lettera di Manuel Half:

“Mi chiamo Manuel e ho 17 anni. Fino a qualche mese fa credevo di “essere un gay”che detestava suo “padre gay”. La mia storia è un po’ complicata anche solo da raccontare e non esclusivamente per motivi di riservatezza ma anche per questioni connesse alla sicurezza mia e di mio padre. Per questi motivi sono costretto all’anonimato. Mi limito a raccontarvi brevemente ciò che è raccontabile. La persona che mi ha avuto nella pancia per nove mesi non so chi sia ma ne conosco la nazionalità. Mio padre è omosessuale e ha lottato con tutte le sue forze per avermi, al punto di aver rotto, tutti i suoi legami di parentela circa 17 anni fa. Ho viaggiato molto a causa degli interessi e delle attività di mio padre. Da qualche mese siamo fermi in Italia soprattutto per ragioni di salute. Mio padre mi ha cresciuto nell’ossessione che io non avessi mai il dubbio di non essere eterosessuale e fin da piccolo mi inculcava tutti quegli stereotipi “da maschio” che in pubblico ha sempre ridicolizzato: dalla scelta dello sport, al modo di abbigliarmi, all’atteggiamento in pubblico. Non sono mai stato troppo libero nelle relazioni con le altre persone e, oltre a ciò che si poteva dire o non si poteva dire, sono stato alquanto“controllato” in tutto ciò che facevo e dicevo. Le condizioni economiche hanno permesso che non mi mancasse mai nulla dal punto di vista materiale, anzi. Il rapporto con mio padre, un pò a causa delle sua ossessione verso di me, un pò perchè la pressione di non deluderlo non è sempre stato facile da sopportare, non è mai stato un granchè e ultimamente stava peggiorando. Per il resto io non ho mai avuto bisogno di “fiabe gay” perchè ci sono dalla nascita in una fiaba gay.

Poi qualche mese fa qualcosa è cambiato, è come se quella corazza di supervisione di mio padre sulla mia vita si stesse sgretolando. Ho iniziato a mettere il naso fuori dalla fiaba e mi sono scontrato con la realtà. E la realtà è che anche io ho dei sentimenti. E’ difficile spiegare ad altre persone i sentimenti che si provano. E’ come se io avessi sviluppato dentro di me un antidoto ai sentimenti ed avessi imparato a rimanere freddo e impassibile di fronte a qualsiasi cosa. Mi succede spesso anche ora, che mi chiudo appena qualcuno viene verso di me. E’ successo che mi è crollato addosso il mondo intero quando ho conosciuto la morale della fiaba che stavo vivendo. Mi sono sentito sfruttato. Mi sono sentito umiliato. E questi per me erano sentimenti, emozioni che volevano uscire a tutti i costi, era un rancore che non si poteva raccontare, perchè era fare del male a mio padre. Come avrei potuto essere la causa di un dolore così grande per mio padre? Come quando mi chiedeva “sei sereno?”, “mi vuoi bene?” e mi usciva sempre un “si” invece della rabbia di un “no!”. In questi anni a volte ho sfogato la mia collera contro me stesso, perchè ero un figlio cattivo, non ero quel figlio che mio padre credeva di tirare su. E me ne facevo una colpa. Mi facevo la colpa di essere il fallimento di mio padre, in carne ed ossa. La fiaba non finiva come l’aveva immaginata lui: il principe azzurro per lui non è mai arrivato e cappuccetto rosso ha scoperto che la strega non era così cattiva. Mio padre mi ha sempre insegnato che un genitore non è chi ti genera ma chi ti ama, mi ha insegnato che è falso sostenere che un bambino ha bisogno di una mamma, mi ha insegnato che quello che conta è l’amore e non il sesso del genitore: è quì il punto!

Il punto non è se una qualsiasi persona, etero o gay, possa o meno essere un bravo genitore perchè non esiste il bravo genitore. Ogni anno sono circa 1.200 i bambini dichiarati in stato di abbandono adottabili in Italia che per la maggior parte vivono in case-famiglia (grazie alla legge 184 anche se non ancora completamente attuata) e 50 mila sono le famiglie dichiarate abili all’adozione. Questi bambini vivono come in delle grandi famiglie, con tanti bambini, operatori che li seguono da vicino e cercano di dargli tutto l’amore possibile. Eppure la casa-famiglia, dice la legge, deve essere considerata una esperienza di passaggio perché l’obiettivo è trovare una famiglia adatta che possa accogliere le esigenze del bambino. Perchè l’amore è importante (le cure e l’affetto di cui un bambino ha bisogno) ma non è tutto. C’è qualcosa di più importante del nutrimento o del gioco, qualcosa che viene prima. Quello di cui ha veramente bisogno il bambino è che il suo mondo esteriore cresca insieme al suo mondo interiore, che non è fatto solo di affettività ma anche di sapere chi è lui in relazione e in rapporto al mondo. Relazione e rapporto si imparano dalla mamma e dal papà. Il bambino apprende soprattutto dall’osservazione delle relazioni e dei rapporti che accadono intorno a lui. E nella famiglia, col papà e con la mamma, impara tutto ciò di cui avrà bisogno nella vita, è un laboratorio, un specchio della vita. La mancanza di un papà o di una mamma è un’eccezione abbastanza rara. La stragrande maggioranza delle volte il figlio sopravvive ai genitori e quando ciò non accade (per morte o separazione) il bambino ne soffre.

I bambini da un lato sono molto fragili e hanno bisogno delle cure più attente da parte degli adulti. Dall’altro hanno una capacità d’adattamento praticamente infinita e cercheranno di adattarsi alla mancanza di un padre, di una madre o di entrambi i genitori. Sostenere che per un bambino avere un padre o non averlo, avere una madre o non averla sono la stessa cosa significa che c’è qualcosa dietro, di diverso dal bene ultimo del bambino. Significa che viene anteposto qualcos’altro allo sviluppo psichico più facile e adatto al bambino. Il bambino si adatterà inconsciamente alla mancanza di una madre o di un padre. Ma costringerlo ad adattarsi a causa del desiderio di paternità o maternità di un adulto io non lo chiamo amore. Per questi motivi oggi mi sento impegnato, con tutti i miei limiti, in una battaglia di verità al fianco di tante persone che ho conosciuto in questi mesi: omosessuali, eterosessuali, religiosi o atei. La battaglia contro l’ideologia del gender, contro i matrimoni gay e per la difesa del diritto di ogni bambino ad avere un padre e una madre. Oggi amo mio padre perchè ho capito che anche lui è caduto nella trappola Lgbt, che ci vorrebbe tutti identici a spese dei più deboli.

Manuel

 

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FERMATA L’IDEOLOGIA DEL GENDER ALLA REGIONE LAZIO

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La legge sulla violenza contro le donne è stata approvata nella tarda serata del 5 marzo, ma non era più la pl 33, intrisa di ideologia di gender, bensì una legge esplicita solo sul tema della violenza contro le donne!

Alla fina, la”maratona” di emendamenti, ha sortito il suo effetto.

Il fatto che siano stati accolti quegli emendamenti, finalizzati ad eliminare i termini che rimandavano alla teoria del gender, ha consentito di liberare la legge dalla malcelata ideologia che surrettiziamente apriva al mondo Lgbt.

Sono stati inoltre accolti gli emendamenti che estendevano la collaborazione con tutto l’associazionismo di volontariato e non solo con le associazioni delle donne (così come prevedeva il testo base).

Sono stati anche approvati gli emendamenti che eliminavano l’attribuzione della violenza solo agli uomini (come prevedeva il testo base), evitando così una legge “sessista” e discriminatoria al contrario.

E’ stata una battaglia durissima basata su un confronto serrato, a volte anche duro e non c’è dubbio che,se non fosse stato “stanato” da subito questo tentativo, oggi il Consiglio regionale del Lazio avrebbe approvato una legge ben diversa: una legge che sfruttando il drammatico tema della violenza sulle donne, in realtà avrebbe aperto una ferita antropologica e culturale profondissima.

Una battaglia è vinta, ma non c’è dubbio che è solo l’inizio, vista l’incertezza, le divisioni, il disorientamento della maggioranza quando si sono trovati a decidere se approvare o respingere l’odg dei 5 stelle che apriva al mondo Lgbt: molte sono le spinte interne alla maggioranza che l’avrebbero voluto approvare, ma, dopo essersi sperticati a rassicurarci che non avevano intenzioni ideologiche, si sono resi conto che approvarlo sarebbe stato, almeno in quel momento, un autogol.

Riassumendo:

1.     Importante vittoria culturale prima che politica

2.     Dopo il titolo e il primo articolo la maggioranza sì è resa conto che era stata smascherata e che doveva cedere alla maratona che gli stavo imponendo

3.     La legge è di fatto stata stravolta, essendone stati cancellati i riferimenti alla teoria del gender

4.     I 5 stelle hanno espresso voto finale contrario proprio perché non ritrovavano più nel testo quei riferimenti che rappresentavano un’apertura al mondo LGBT.

5.     E’ stato respinto l’odg, che era stato preparato proprio sul testo originario della pl 33 e che chiedeva esplicitamente iniziative tese al riconoscimento Lgbt

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Mario Adinolfi “Voglio la mamma” DA SINISTRA CONTRO I FALSI MITI DI PROGRESSO

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Chi è Mario Adinolfi?
Sono il papà di Livia e Clara, ho 42 anni, da più di vent’anni faccio il giornalista e lo scrittore, con più di qualche incursione nella conduzione e nell’opinionismo radiotelevisivi. Sono juventino, il mio primo matrimonio è fallito: gioie e dolori, insomma, Il secondo con Silvia procede bene. Ho appena dato alle stampe il mio ultimo libro che si intitola “Voglio la mamma”. Sono stato tra i fondatori del Partito democratico, candidato segretario nazionale alle primarie del 2007 e parlamentare nella scorsa legislatura.

Perché un intellettuale laico del terzo millennio è contrario ai matrimoni gay?
Nel secondo capitolo di “Voglio la mamma” spiego, credo con una qualche efficacia, perché sono contro il matrimonio omosessuale. Il discorso è piuttosto complesso e per questo faccio riferimento al testo esteso che ho racchiuso nel volume, perché in un’intervista si rischia di essere superficiali, mentre il tema è molto delicato. Riguarda le conseguenze, a mio avviso nefaste per la tenuta stessa del tessuto sociale, che comporterebbe la modifica della ratio millenaria del vincolo matrimoniale tra un uomo e una donna. La prima conseguenza, forse la più devastante, porta verso l’abolizione della figura materna come elemento naturale vitale per la crescita di un bambino. Poi, ovviamente, in termini logici non si potrebbe contestare a quel punto in alcun modo rivendicazioni folli come la legalizzazione di poligamia e poliandria. Con il collasso probabile anche delle strutture di welfare come oggi le immaginiamo in Italia, in particolare in ambito previdenziale. Poi c’è il discorso della gestazione per altri, più comunemente chiamata utero in affitto. Insomma, le conseguenze dal mio punto di vista pericolosissime sono molte. Vanno approfondite e spiegate, con la massima delicatezza e il massimo rispetto nei confronti delle persone omosessuali. Il terreno è scivoloso.
Cosa pensa della teoria del Gender?
Molti dei 15 capitoli di “Voglio la mamma” sono scritti per contestare in radice la teoria del gender. Veramente in questo caso non posso che rinviare alla lettura del libro, che tra l’altro è molto agile, una sorta di bignami di argomenti, dati, link di approfondimento: un testo poco voluminoso, da portare sempre in tasca perché almeno nel mio caso non passa giorno senza che non debba scontrarmi in confronti dialettici su questi temi spinosi. E io ho voluto racchiudere in un unico volumetto tutte le risposte che mi venivano in mente a una serie di obiezioni modaiole e irrazionali che mi venivano mosse. Spero che questo sforzo sia utile a molti che si trovano nella stessa condizione e hanno lo stesso impianto di opinioni su cui mi muovo io.
In base ai valori in gioco, si può parlare di “battaglia di civiltà”?
E’ una battaglia culturale importante, forse decisiva. Si scontrano diverse visioni del mondo e dell’uomo, certo estremamente contrastanti. Noi abbiamo la ragione dalla nostra parte, come oppositori abbiamo sostenitori di idee caotiche e fondamentalmente irrazionali.
Perché secondo lei questo “problema” esce fuori proprio adesso?
Perché il tessuto sociale è in preda a un complessivo scardinamento e perché ci sono forze sociali e culturali che puntano a ottenere potere attraverso questo percorso. Bisogna opporsi con molta forza e fare quadrato, perché la partita è insieme decisiva e molto difficile. Noi navighiamo controvento.
Come finirà secondo lei lo scontro in atto fra queste due visioni antropologiche?
Credo che prevarremo. Non posso pensare all’irrazionalità che trionfa.

© Redazione – La Manif Pour Tous Italia

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IDEOLOGIA DEL GENDER NELLE SCUOLE: VADEMECUM DI AUTODIFESA PER I GENITOR

LINK AL PDF DEL VADEMECUM PER GENITORI

 Manif – Forum Vademecum per genitori

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La Manif Pour Tous Italia e il Forum delle Associazioni Familiari dell’Umbria stanno diffondendo un vademecum ad uso dei genitori per proteggere i propri figli dall’indottrinamento pro ideologia del gender che ha iniziato a svolgersi negli istituti scolastici di tutta Italia, dagli asili alle superiori, tramite incontri con rappresentanti delle associazioni gay o esponenti della “cultura omosessuale” e con la diffusione di materiale didattico “gay friendly”.
“Siamo stati subissati da richieste di moltissimi genitori – afferma Simone Pillon, presidente del Forum Umbria – perché quanto sta succedendo con questi libretti e questi corsi preoccupa molte persone, abituate a fidarsi della scuola, e invece ora spiazzate dal passaggio di contenuti del tutto contrari alle loro scelte educative.”

“E’ giusto che i ragazzi apprendano il rispetto per la dignità personale di ogni uomo, a prescindere da qualsiasi specificazione – afferma Filippo Savarese, portavoce de La Manif Pour Tous Italia – ma con la scusa di contrastare una fantomatica emergenza “omofobia” le reti di associazioni e collettivi LGBT perseguono il fine di una vera e propria rieducazione di bambini e ragazzi nei delicati ambiti della morale e della sessualità, circa i quali è la famiglia che detiene la massima potestà educativa e non altri enti sociali. Questo è semplicemente inaccettabile”.
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UNAR: se la conosci… la eviti!

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Ho già avuto occasione di segnalare le esondazioni dell’Unar, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali costituito presso la Presidenza del Consiglio, Dipartimento Pari Opportunità col decreto legislativo n. 215 del 9 luglio 2003. Il decreto mira ad adeguare la legislazione italiana alla direttiva europea 2000/43/CE riguardante “parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica”. Da ultimo l’Unar si occupa invece soprattutto di omosessualità, con interventi nel campo della scuola e dell’informazione. Agli operatori dell’informazione l’Unar ha fatto recapitare “Linee guida per una informazione rispettosa delle persone Lgbt” (note anche come “Decalogo del giornalista”). Nel settore scolastico ha affidato all’ Istituto Beck la preparazione di tre opuscoli intitolati “Insegnare la diversità a scuola” destinati agli insegnanti perché inculchino negli alunni, dalle elementari alle superiori, la cultura del “gender” con avvertimento ai docenti della particolare pericolosità della religione e del ruolo diseducativo, oltre che della famiglia “naturale”, della Chiesa nella società.

Le offese alla religione e alla famiglia hanno spinto alcuni senatori a rivolgere un’interpellanza al Presidente del Consiglio, evidenziando che l’Unar agisce in materia non di sua competenza, ha violato l’obbligo di imparzialità essendosi avvalso della consulenza di un gruppo di lavoro costituito da 29 associazioni che raggruppano gli omosessuali italiani e della collaborazione  dell’Istituto Beck, i cui notori pregiudizi antireligiosi “sono stati inseriti nei tre opuscoli con l’ennesima inaccettabile critica  al ruolo educativo della famiglia e della morale cristiana”.

A rispondere (con ritardo) è stata il viceministro Maria Cecilia Guerra, che la delega per le Pari Opportunità, evidenziando un fatto di estrema gravità e cioè che il Dipartimento non è mai stato informato dell’iniziativa nonostante che i libri siano stati diffusi nelle scuole sotto l’egida  “Presidenza  del Consiglio dei Ministri – Dipartimento delle Pari Opportunità”, Per di più anche il Ministero della Pubblica Istruzione è stato tenuto all’oscuro della distribuzione di questo materiale didattico fra gli insegnanti. Il vice ministro ha precisato di avere inflitto al direttore dell’Unar, Marco De Giorgi “una nota formale di demerito”.

A dirla con tutta franchezza è difficile credere che ministri e vice-ministri, pur se non ufficialmente informati, non ne sapessero davvero nulla (l’iniziativa dell’Unar risale al 2013 e riguarda l’intero territorio nazionale). Vi sono state polemiche riprese dalla stampa (inclusa la “Voce”). Si dovrebbe pensare che i politici non leggano i giornali e che gli incaricati della “Rassegna stampa” abbiano escluso dagli appositi fascicoletti proprio gli articoli sull’argomento.

Comunque ciò che importa è che l’Unar non solo è andato oltre le sue competenze, ma lo ha fatto tenendo all’oscuro dell’iniziativa proprio l’organo in nome del quale pretendeva d’agire. Ovviamente l’operazione è costata denaro, a cominciare dal contratto con l’Istituto Beck siglato, a quanto riferisce il vice-ministro, nel 2012, per finire col compenso dovuto ai consulenti e i costi di stampa e distribuzione. Dal momento che si tratta di  denaro pubblico, altroché nota ufficiale di demerito al direttore! Vi è materiale sufficiente, se sono esatte le notizie vice-ministeriali, perché si accerti se  l’attività dell’Unar non debba trovare la sua giusta collocazione nel codice penale alla voce  “peculato”. Il reato prevede la pena della reclusione da tre a dieci anni ed è perseguibile di ufficio.

F. M. Agnoli

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Com’è triste Venezia…con le “nuove” favole

 

 

 

 

 

 

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E polemica a Venezia fra Camilla Seibezzi, la delegata del sindaco per le politiche contro le discriminazioni e Tiziana Agostini,l’assessore comunali alle politiche educative. E’ successo che la prima, scavalcando le competenze della seconda, ha già fatto acquistare, per circa diecimila euro, e distribuire 46favole in migliaia di copie perché siano lette negli asili nido e nelle scuole materne comunali. Il progetto si chiama «leggere senza stereotipi» e si basa sull’’idea di insegnare ai bambini fin dalla più tenera età a interpretare la realtà quotidiana senza preconcetti, combattendo l’insorgere di omofobia e razzismo alla radice.

3080452583Tra i titoli «I papà bis», storia di una separazione, con un papà che lascia la casa e uno nuovo che lo sostituisce; «E con tango siamo in tre», dove due pinguini maschi allo zoo diventano entrambi papà con l’arrivo di un uovo deposto da un’altra coppia; e ancora “Piccolo uovo” sulla fecondazione assistita.”Non è assolutamente possibile che i materiali arrivino direttamente nelle mani di piccoli e piccolissimi senza un’adeguata valutazione dei tecnici e del personale competente.Vorrei evitare strumentalizzazioni.I bambini non devono mai essere usati come bandiera politica.” ha commentatola Agostini. Ma la Seibezzi  non si fa nessun tipo di problema e tira avanti per la sua strada, forte della vittoria già conseguita sulla circolare della Giunta che per il prossimo anno scolastico sostituisce, nei moduli di iscrizione alle scuole comunali, le diciture «madre » e «padre» con quella di «genitore». E se la Seibezzi era già nota per i suoi intendimenti (i più attenti ricorderanno la sua partecipazione al convegno “Non si offenda- genitore sarà lei”dello gennaio scorso, sempre a Venezia), neanche l’idea di “revisionare” le favole è nuova, tutt’altro; è uno dei grimaldelli scelti dall’ideologia del gender per far saltare l’idea della famiglia tradizionale. L’aggressione del tema spetta cronologicamente al governo spagnolo di Zapatero che sollecitò le scuole per la prima infanzia a cambiare i testi di riferimento, che contenevano,secondo il Ministerio de Educacion dell’epoca, troppe principesse indifese e troppi principi salvatori. E dato che alle stramberie non c’è limite si è trovato persino un termine a questo processo di “liberazione culturale” che viene così chiamato “de-principessizzazione”. L’altro elemento delle favole tradizionali poi che a questi promotori delle nuove teorie infastidisce assai sono i finali, con quel “vissero felici e contenti” coincidente con un matrimonio e magari pure dei figli: non sia mai! Meglio piuttosto una variante post-trans-moderna che non faccia differenze e non generi invidie di sorta: “e vissero tutti …diversi e colorati ma profondamente disperati” o “…tutti uguali e vestiti di nero come le figlie di Zapatero” (che, speriamo per loro, nel frattempo abbiano cambiato il loro look alla Halloween Monster…)

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