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“TRASCRIZIONI GAY”: IL TAR DEL VENETO SMASCHERA LA FARSA

Tra la fine dell’anno scorso e l’inizio del corrente il tormentone mediatico imponeva che fossimo appunto tormentati dalla questione della trascrizione di ‘matrimoni’ contratti all’estero tra persone dello stesso sesso nei registri comunali dello stato civile (questione diversa dall’approvazione di cosiddetti “registri comunali delle unioni civili”). Si trattò chiaramente di una ventata di quasi goliardica demagogia politica, a cui offrirono le vele le amministrazioni più ideologiche come quelle di Marino a Roma, Pisapia a Milano, De Magistris a Napoli e Merola a Bologna (nessuna delle quali oggi se la passa troppo bene, per la serie “eufemismi”). Si attaccarono al tram una serie di altre città minori, avendo intuito che il momento mediatico poteva assicurare qualche prima pagina magari anche nazionale.

Il piano era chiaro: bombardare mediaticamente l’Italia con una raffica di trascrizioni di nozze gay – corredate dalla solita mitragliata di affermazioni sui diritti umani, il progresso, l’uguaglianza, la cività, etc – per forzare lo stato amministrativo delle cose e rendere indifferente, quindi più accettabile, l’approvazione di una legge nazionale che rimettesse in ordine il caos volutamente creato. Ovviamente quella legge necessaria era – e sarebbe – il ddl Cirinnà sulle cosiddette “unioni civili”, vera e propria bomba a mano nell’ordinamento giuridico, che fa saltare in aria l’intero sistema di riconoscimento costituzionale della famiglia tramite il matrimonio (che il ddl ricalca snaturandolo) e di protezione dei figli, specialmente nel loro diritto umano di non essere oggetto di compravendita tramite eterologa o utero in affitto (pratiche i cui effetti il ddl Cirinnà intende invece epsressamente riconoscere) e di essere invece semplicemente figli della loro mamma e del loro papà.

Sul fronte del ddl Cirinnà sappiamo com’è andata e come va. Il ddl che doveva essere approvato entro settembre 2014, poi entro primavera 2015, infine entro la prossima settimana, è stato rimandato a “entro l’anno”. Per ora, 1500 emendamenti e un po’ di sano ostruzionismo lo tengono inchiodato in Commissione Giustizia, tanto che cresce la tentazione nel duo Cirinnà-Lo Giudice di mandare al diavolo la Commissione e passare direttamente in Aula senza relatore, scelta che spacchetterebbe tutto il lavoro fatto finora rimettendolo daccapo nelle mani di tutti i Senatori, allungando i tempi di moltissimo ma con la speranza di trovare sponde più sicure nel M5S e in altre varie frange. Vedremo.

Tornando alle trascrizioni. Giuridicamente – cioè applicando il principio di legalità – la questione non ha bisogno di chiarimenti. La Corte di Cassazione ha già stabilito da anni che le trascrizioni di matrimoni contratti all’estero tra persone dello stesso sesso sono illegittime, poiché l’ordinamento italiano non riconosce a questi atti alcun effetto pratico. Vladimiro Zagrebelsky, già giudice alla Corte Europea dei Diritti Umani, criticò duramente su La Stampa il “ribellismo dei Sindaci“, arrivando a definirlo “frutto e sintomo, oltre che causa, di un disfacimento delle istituzioni fondamentali della Repubblica, che non dovrebbe essere apprezzato nemmeno da coloro che, nel merito, condividano il segno politico che le illegali registrazioni esprimono“.

Tra i protagonisti di questo “disfacimento istituzionale” figura anche il sindaco di Treviso, Giovanni Manildo del Partito Democratico, avvocato cattolico cresciuto in ambiente scoutistico. Nell’ottobre scorso fu infatti entusiasta di accogliere con altisonanti apprezzamenti e richiami alla solita minestra falso-progressista la richiesta di trascrivere un matrimonio contratto in Brasile da parte del trevigiano Franco Fighera e del compagno Joe Fernandes. Il Sindaco fu spalleggiato fino all’effettiva trascrizione (gennaio), dall’assessore alle Pari Opportunità di SEL Anna Caterina Cabino, certissima che “è più che legittima la richiesta di trascrizione di un matrimonio da parte di una coppia gay“. Come no.

Nel mentre il Ministero dell’Interno aveva però emanato la nota “circolare di Alfano“, che richiamando la normativa vigente incaricava i Prefetti di annullare tutte le trascrizioni avvenute nelle zone di loro competenza. Fu così che, a febbraio, anche il Prefetto di Treviso mandò il proprio commissario a operare l’annullamento. Ne scaturì anche qui come altrove, ad esempio a Roma, un contenzioso tra ricorrenti e Prefettura presso il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR). Nel caso di Roma il TAR del Lazio annullò l’annullamento del Prefetto, ma solo perché, a detta di quei giudici, l’annullamento spettava per legge solamente al Tribunale Civile, per iniziativa del Pubblico Ministero. Nella sentenza con cui non riconosceva legittimità all’incarico conferito ai Prefetti dal Ministro Alfano, il TAR aggiungeva comunque che “nel decidere tali controversie, il giudice amministrativo ha eseguito una ricognizione della normativa comunitaria e nazionale della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, giungendo ad affermare che l’attuale disciplina nazionale non consente di celebrare matrimoni tra persone dello stesso sesso e, conseguentemente, matrimoni del genere non sono trascrivibili“.

Ieri si è espresso invece il TAR del Veneto sul ricorso presentato contro l’annullamento delle trascrizioni da parte della Prefettura di Treviso, giundendo a conclusioni diverse da quelle del TAR del Lazio (sempre però sulla questione di competenza, non sul fatto che, comunque, le trascrizioni sono illegittime). I giudici amministrativi affermano che “il Sindaco, in qualità di esecutore della legge nazionale, e non anche di rappresentante della comunità locale, è tenuto ad uniformarsi alle istruzioni che vengono impartite dal Ministero dell’Interno, istruzioni della cui corretta esecuzione è specificamente incaricato il Prefetto, in quanto titolare del relativo potere di vigilanza“.

Ma al TAR del Veneto va un merito ulteriore a quello di aver applicato la legge, e cioè quello di aver ufficialmente riconosciuto e denunciato le ragioni di demagogia politica dell’intera operazione. Si legge nella sentenza che la trascrizione “è stata effettuata al solo fine di introdurre surrettiziamente una tipologia di matrimonio allo stato non prevista dalla legge e che potrebbe peraltro ingenerare un falso affidamento nei confronti degli stessi ricorrenti, non potendo costoro beneficiare, stante l’inefficacia di tale atto per lo Stato italiano, di nessuno dei vantaggi che la legge riconosce invece al matrimonio celebrato tra persone di sesso diverso“.

Salviamo il Diritto dai paladini dei “diritti“.

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Filippo Savarese

MANIF

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UNIONI CIVILI/MANIF POUR TOUS: DA SCALFAROTTO GOFFO TENTATIVO RICATTATORIO. RISPETTI IL CONFRONTO POLITICO

Sondaggio IPR giugno 2015. Italiani contrari al contenuto del ddl Cirinnà (mantenimento, reversibilità e adozioni).

Sondaggio IPR giugno 2015. Italiani contrari al contenuto del ddl Cirinnà (mantenimento, reversibilità e adozioni).

 “Lo ‘sciopero del cappuccino’ di Scalfarotto è un goffo tentativo ricattatorio dentro un dibattito che inParlamento e nel Paese sta maturando in serietà e consapevolezza, anche grazie alle questioni poste al Family Day del 20 giugno a Roma. L’ideologico ddl Cirinnà sulle unioni civili non trova pieno consenso dentro il Pd ancor prima che nell’opinione pubblica. Se si volesse davvero garantire il diritto di chiunque di convivere in pace e libertà, senza rottamare il matrimonio incentivando l’utero in affitto come fa il ddl Cirinnà, la polemica sui diritti civili in Italia sarebbe chiusa da un pezzo”. Lo afferma Filippo Savarese, portavoce dell’associazione pro-family La Manif Pour Tous Italia, circa la decisione del sottosegretario Pd Ivan Scalfarotto di iniziare lo sciopero della fame contro il dilungarsi del confronto parlamentare sulle unioni civili.

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SONDAGGI CONFERMANO: ITALIANI CONTRARI AL DDL CIRINNA’

Ieri il quotidiano napoletano “Il Mattino” ha dedicato un interessante reportage (basato sui sondaggi di IPR Marketing) sull’opinione degli italiani sul matrimonio gay e sulle unioni civili, che ci racconta ancora una volta una situazione molto differente da quella che viene spacciata da e sui media. La maggioranza degli italiani dimostra di avere le idee chiare su questioni così cruciali per gli assetti della società, e dunque del bene comune. Ragioniamo sui punti più interessanti:

11667903_10207241025167852_1513802702_nPrimo: gli italiani sono nettamente contrari al matrimonio gay, cioè all’abolizione del requisito della diversità sessuale nel matrimonio (solo 38% i favorevoli, diminuiti negli ultimi anni). E’ ben salda la consapevolezza che la diversità sessuale è la ragion d’essere di quest’istituto antropologico, laico e giuridico, fondato sulla potenziale capacità procreativa della madre e del padre e non solo sul sentimento affettivo, che ovviamente nella storia personale della coppia è fondamentale (ma non rileva ai fini dell’interesse pubblico, come invece importa – e molto – la nascita di figli);

Secondo: Gli italiani sono favorevoli al riconoscimento di diritti della persona legati alla sua convivenza con altri. Il 74% lo sono rispetto a coppie eterosessuali, il 46% rispetto a coppie omosessuali.

11650728_10207241025127851_1248867457_nTerzo: quanto ai diritti dei componenti un’unione tra persone dello stesso sesso, gli italiani sono largamente favorevoli alla possibilità di assistenza sanitaria del partner durante le vicende cliniche (possibilità per altro già attuale). Una stretta maggioranza è a favore del riconoscimento automatico del convivente come erede pro-quota insieme agli altri familiari. Gli italiani sono invece decisamente contrari (32%) sia alla pensione di reversibilità che al mantenimento economico in caso di interruzione della convivenza – due elementi caratterizzanti della disciplina matrimoniale, dunque del tutto coerente con il giudizio contrario al matrimonio gay (a riprova che non si tratta di una questione formale di “etichette” ma di sostanza giuridica ed economica). L’85% degli italiani crede che i bambini che hanno perso una mamma e un papà meritino una mamma e un papà, e non i surrogati “genitore 1 e 2” confezionati dall’ideologia Gender.

Che cosa deriva da questi tre punti? Un giudizio molto semplice, per chi è in grado di intendere: gli italiani sono del tutto contrari al ddl Cirinnà sulle unioni civili attualmente in discussione in Commissione Giustizia al Senato.

11656181_10207241025087850_1785627946_oQuesto disegno di legge (ddl) infatti, oltre che essere destinato solo a coppie omosessuali (e già i favorevoli scendono sotto il 50%) prevede pensione di reversibilità, mantenimento in caso di separazione e adozione (“interna“, cioè solo se il bambino adottato da uno dei due partners è già figlio dell’altro: in pratica si tratta del riconoscimento legale dell’utero in affitto e dell’eterologa per coppie lesbiche, dal momento che se si trattasse del figlio di una precedente relazione eterosessuale quel bambino non avrebbe bisogno di essere adottato, perché avrebbe già sia una mamma che un papà). Il ddl Cirinnà è una fotocopia sbiadita del matrimonio, che per espressa confessione dei suoi sostenitori non si chiama proprio matrimonio per non urtare la suscettibilità degli italiani. Tanto – è il ragionamento – ci penseranno i Tribunali a fare il passo che manca per la totale equiparazione. Anche questo sondaggio dimostra, a chi crede il contrario, che gli italiani non si lasciano affatto ingannare. Lo stesso autore dell’inchiesta per “Il Mattino”, infatti, arriva a queste conclusioni (vedi immagine a fianco).

Insomma, gli italiani sono contrari all’estensione sostanziale della disciplina matrimoniale a coppie dello stesso sesso, e non ne fanno una mera questione di “nomi” o “etichette”. Sì ai diritti, no all’ideologia e no al ddl Cirinnà.

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GENDER A SCUOLA: NELLA RIFORMA IL TRUCCO C’E’ MA NON SI VEDE

L’on.Lupi   in una lettera che invia al direttore del il Sussidiario.net sostiene di non trovare il Gender nel comma 16 della riforma scolastica. Assieme a lui tanti altri.  Filippo Savarese, portavoce della Manif Pour Tous Italia, risponde: evidentemente non ci siamo ben spiegati noi!

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Gentile direttore,

ho letto con interesse il contributo di Maurizio Lupi sulla polemica sorta intorno alla fiducia votata dal Nuovo Centrodestra al Governo sulla riforma della scuola, che al comma 16 dispone la presenza nei Piani dell’Offerta Formativa scolastica, in chiave antidiscriminatoria, di programmi di sensibilizzazione su questioni cosiddette “di genere”.

Confesso che sono rimasto piuttosto interdetto dal tenore del chiarimento. Mi spiego. Importanti esponenti del Ncd, dal coordinatore nazionale allo stesso On. Lupi, sabato 20 giugno si presentavano spontaneamente in piazza San Giovanni esprimendo la loro personale adesione alle istanze lì manifestate (espellere l’ideologia Gender dalle scuole). Il segretario Alfano provvedeva intanto ad assicurare la rappresentanza politica di quelle stesse istanze in Parlamento. Com’è noto, seguiva il tentativo disperato del Ncd di emendare in extremis il suddetto comma 16, ricevendo però un impedimento procedurale da parte del Presidente Grasso. L’Ncd (escluso il sen. Giovanardi) votava allora la fiducia al Governo sull’assicurazione verbale da parte del Ministro Giannini di un futuro potenziamento delle procedure di consenso informato della famiglia per attività extracurricolari su temi… del genere.

Questa vicenda, ed è il motivo della polemica, ha suscitato un diffuso scontento nei partecipanti alla manifestazione del 20 giugno. L’immagine di un partito che si era presentato in massima rappresentanza in piazza e che poi votava la fiducia su una legge contestata da quella stessa piazza ha, mediaticamente, sortito i suoi effetti inevitabilmente negativi. Stante il segnale di ben maggiore e più clamorosa contrarietà che credo sarebbe dovuto giungere dai dirigenti del Ncd sul diniego procedurale del Presidente Grasso (chi può credere che la volontà del Governo, cioè di Renzi, non avrebbe potuto portare Grasso a più miti consigli?), stante ciò, mi sento personalmente persuaso unicamente dalle ragioni addotte sul “caso” da Eugenia Roccella, e cioè dal fatto che se il Governo fosse ipoteticamente andato in crisi sul comma 16, noi oggi ci troveremmo davanti allo scenario di una nuova maggioranza rifondata sui voti di ex Forza Italia ed ex 5 Stelle; una piattaforma tendenzialmente laicista che avrebbe compromesso in modo letale le speranza di incidere sul corso del ddl Cirinnà sui matrimoni gay (detti “unioni civili”). Sarebbe andata proprio così? Non lo so, ma lo scenario è talmente inquietante da far impallidire al solo rischio.

manif 20062015A parte queste considerazioni di natura strategica, però, non posso credere che l’On. Lupi si trovi ora ad accusare la piazza di allucinazione collettiva, affermando che nel comma 16 non si trova traccia di alcun pericolo ideologico per l’istruzione dei nostri figli, fratelli, nipoti, come le associazioni e gli organizzatori del 20 giugno stanno denunciando. Qui bisogna chiarirsi. Se è una questione di strategia per il maggior bene di beni maggiori (il matrimonio) se ne può discutere. Ma se non è una questione di strategia, se non siamo d’accordo sul merito di quanto denunciato in piazza il 20 giugno, bisogna allora prenderne atto in modo molto chiaro. Secondo Lupi, «le parole incriminate, che inducono alcuni all’accusa di cedimento sulla teoria gender, sono “prevenzione della violenza di genere”», ma, continua, «combattere le violenze di genere non vuol dire sposare la teoria del gender, per la quale l’identità di genere non è riconosciuta per un dato naturale ma scelta dal soggetto». Tutto ciò può anche essere condivisibile in linea di massima, posto che saremo comunque difficilmente in grado di far valere questa opinione come interpretazione autentica sul tenore di “violenza di genere” nei vari Consigli d’Istituto che discuteranno il contenuto dei POF.

Al di là di questo, il problema che mi sembra grave, e che evidentemente è dovuto ad una nostra colpa comunicativa, è che non è affatto nell’espressione citata da Lupi il buco nero nel patto educativo tra scuola e famiglia che abbiamo denunciato dopo il voto in Senato come Manif Pour Tous Italia. Non è l’espressione “prevenzione alla violenza di genere” il problema del testo. Come l’Onorevole sa bene, perché lo cita nel suo intervento, il comma 16 rimanda a sua volta all’art. 5, comma 2, del d.l. n. 93/2013 convertito dalla l. n. 119/2013. A sua volta ancora, il citato articolo 5 rimanda all’applicazione nelle scuole dei principi espressi nel “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere” (presentato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dal Dipartimento delle Pari Opportunità nel maggio scorso). Ebbene, il paragrafo 5.2 di questo Piano, nuova bussola governativa per tutto quanto entrerà di nuovo a livello nazionale nelle nostre scuole grazie alla legittimazione espressa del comma 16 della riforma sulla scuola, tanto predica: “Obiettivo primario deve essere quello di educare alla parità e al rispetto delle differenze, in particolare superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini, ragazzi e ragazze, bambine e bambini, sia attraverso la formazione del personale della scuola e dei docenti, sia mediante l’inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa”.

Assai difficilmente si può sostenere che questo tipo di “approccio di genere” riguardi in realtà esclusivamente la prevenzione o il contrasto a casi di pratica discriminazione e violenza sessuale o psicologica dei ragazzi negli ambienti scolastici. È letteralmente palese che si tratta invece di un approccio filosofico e antropologico globale che deve preoccuparsi di rimodulare e anzi rimodellare completamente i termini del discorso sull’identità sessuale dell’essere umano in relazione alla sua “identità di genere”. Diciamolo cioè chiaramente: il contenuto del Piano, ripreso dal comma 16, è oltre ogni ragionevole dubbio una porta spalancata sull’introduzione nelle scuole di ogni ordine e grado dell’ideologia Gender. Su questo dobbiamo essere assolutamente d’accordo con chi si è spontaneamente offerto di rappresentare le istanze della piazza del 20 giugno: che cioè le abbia, prima che condivise, innanzitutto comprese.

Per quanto detto, il comma 16 della riforma scolastica viola la libertà educativa della famiglia. In quanto tale, non è negoziabile con le promesse del Ministro di potenziare gli strumenti del consenso informato. Non solo per questioni di sostanza, ma anche perché questo costringe ancor più le famiglie in una già estenuante posizione difensiva rispetto agli attacchi ideologici subiti nelle scuole dei loro figli. Un conto è avere in mano leggi che impediscano l’ingresso nelle scuole di queste teorie, altro conto avere in mano una modulistica con cui inseguire capillarmente su tutto il territorio nazionale queste attività per poter provare ad arginarle (spesso a costo di penose diatribe tra scuola e genitori, di cui possono far le spese i bambini). Né vale certo a mitigare il danno provocato da questa diposizione affermare che “tanto queste cose già accadono”. Proprio perché già accadono dovremmo andare tutti nella direzione di contrastarle e non di agevolarle. Ripeto però che ancor prima di contrastarle serve davvero saperle riconoscere.

Cordialmente

Filippo Savarese
portavoce de La Manif Pour Tous Italia

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COMUNICATO STAMPA – BUONA SCUOLA/MANIF POUR TOUS: CREATO BUCO NERO NEL PATTO EDUCATIVO SCUOLA-FAMIGLIA

“La presenza del comma sulla cosiddetta educazione di genere crea un buco nero nel patto tra scuola e famiglia, che spalanca la porta alle sperimentazioni educative fondate sul Gender”. Lo afferma Filippo Savarese de La Manif Pour Tous Italia circa il voto in Senato sulla riforma sulla ‘Buona Scuola’.

“La promessa del Governo di rinforzare procedure per il consenso informato dei genitori circa queste attività – continua Savarese – non appare in grado di bilanciare l’enorme danno subito dall’intero sistema scolastico, che mette ancor più le famiglie in posizione difensiva nella già difficile battaglia per il diritto di educare liberamente i propri figli”.

“Amareggia la totale indifferenza del Parlamento verso le istanze di libertà espresse in piazza da un milione di persone”, conclude Savarese in riferimento alla manifestazione delle famiglie sabato scorso a Roma contro il Gender nelle scuole.

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A SAN GIOVANNI E’ NATO UN POPOLO CHE DEVE CAMMINARE

Pubblichiamo l’articolo di Filippo Savarese, portavoce de La Manif Pour Tous Italia, pubblicato ieri su La Croce Quotidiano


Noi fummo da secoli | calpesti, derisi, | perché non siam popolo, | perché siam divisi. | Raccolgaci un’unica | bandiera, una speme: | di fonderci insieme | già l’ora suonò.

Si deve all’ultimo e ottimo articolo di Giuseppe Rusconi sul blog “Rossoporpora”, cronaca dell’oceanica manifestazione di sabato scorso in Piazza San Giovanni, la creazione di un link ideale tra i moti popolari di ispirazione risorgimentale e quelli che oggi riempiono le piazze per i diritti naturali della famiglia e dei nascituri di crescere in braccio alla prima verità sulla loro esistenza, in braccio cioè a mamma e papà. Al di là dei giudizi storici sui tempi e le ideologie che furono, c’è solo da sperare che in questi nostri giorni si sia in presenza di un vero e proprio “risorgimento antropologico” delle famiglie, animato da gente comune di comune buon senso in difesa delle più elementari verità sull’uomo.

La grande manifestazione di Piazza San Giovanni, in cui quasi un milione di comuni cittadini si sono radunati per gridare a una sola voce “Stop Gender, difendiamo i nostri figli”, è infatti la prova che almeno o proprio nella secolarizzata Europa gran parte del popolo non vuole sottostare ai diktat del pensiero unico dominante, né di vedersi relegata “dalla parte sbagliata della storia” sol perché continua a guardare alla famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, in virtù della sua (potenziale) capacità procreativa. Con l’adunata di sabato l’Italia entra a pieno titolo nella grande partita internazionale tra chi crede che i figli siano soggetti titolari di diritti inalienabili – tra cui conoscere i propri genitori e crescere con loro – e chi li ritiene invece oggetto di un desiderio di realizzazione e forse emancipazione personale, che può essere soddisfatto in ogni modo e, soprattutto, ad ogni costo.

_MG_2797Non è ovviamente bene radicalizzarsi in un’ottica di scontro apocalittico o anche solo di goliardico derby tra fazioni opposte, ma è indubbio che se c’è chi lavora alacremente giorno e notte per la decostruzione dei più elementari fondamenti della nostra civiltà, così com’essa è progredita nella promozione della dignità umana, ci deve essere chi altrettanto alacremente giorno e notte lavora per rinsaldare quegli stessi fondamenti e rilanciarne l’importanza, senza paura di essere manifestamente “contro” ciò che è sbagliato e dannoso quando questo deve essere messo in chiaro. Né bisogna essere ipocriti sul senso delle grandi manifestazioni di piazza; troppo spesso ci si lascia intimidire da chi vorrebbe impostare i termini di un dialogo in senso esclusivamente accomodante o compromissorio. No, le grandi manifestazioni di piazza sono e devono essere per loro natura grandi prove di forza, occasioni finalizzate alla dimostrazione che opinioni e idee che si sostengono non sono nuvoloni passeggeri, capaci di temporanei acquazzoni, ma camminano invece sulle gambe di milioni di uomini e donne concretamente incardinati nella storia. Quando centinaia di migliaia di persone accorrono da ogni parte del Paese per radunarsi insieme in un unico luogo, con costi e sacrifici tutt’altro che irrilevanti, non lo fanno per scendere a patti con chi vorrebbe addirittura impedirgli per legge di esprimere le loro opinioni, ma per dimostrare che esistono, che sono tantissime e che fanno anche loro parte degli equilibri democratici.

Proprio qui sta il senso della manifestazione di sabato a Piazza San Giovanni: dimostrare che quanto rappresentato quotidianamente dalla grande stampa, dai media e da tutti i profeti del mitizzato, inevitabile progresso sociale, per l’appunto non rappresenta affatto il comune sentire del popolo. Un popolo che a Roma si è riunito senza forse nemmeno sapere di esserlo, ma che si è sicuramente scoperto tale in quel pomeriggio che passerà alla storia. Un popolo che deve ancora fare molta strada per conoscere se stesso, chi lo avversa e i pericoli contro cui deve vigorosamente alzare la voce per il bene dei più indifesi.

Come è stato ricordato sabato dal palco, se l’ideologia Gender si è fatta strumento politico di riforma sociale solo negli ultimi decenni, le radici dell’indifferentismo sessuale si ramificano in percorsi filosofici risalenti a diversi secoli fa, di cui solo oggi vediamo e soprattutto tocchiamo con mano gli sviluppi pratici. In tal senso si può dire di essere in ritardo di qualche centinaio di anni, ma ricordandosi pur sempre che si tratta di colossali costruzioni ideologiche, castelli di carte contro le quali la praticità del reale non ha bisogno di molto tempo per riorganizzarsi, essendo ciò che è vero per sua natura destinato a prevalere su ciò che è falso.

Scriveva Edmund Burke: “quando i malvagi si uniscono, gli onesti devono associarsi”. Non siamo onesti per nostra natura né è malvagio per la sua chi sostiene posizioni contrarie alle nostre. Tuttavia la ragione ci porta a vedere che ci sono beni superiori in questa umanità che meritano di essere protetti e conservati di generazione in generazione; ed è il servizio disinteressato a questi beni che ci rende sicuri di star combattendo una buona battaglia. Non c’è paura nell’usare questa parola: battaglia. Quando si combatte per la dignità della persona, sempre come fine e mai come mezzo, si ha l’inestimabile vantaggio psicologico di una certezza assoluta: non è possibile per noi fare alcuna vittima, perché i nostri stessi interlocutori sono dotati di quella dignità assoluta per il maggior bene della quale noi sfoderiamo le armi invisibili della ragione e della perseveranza. Difendendo la dignità della persona, di cui la famiglia è prima e naturale garante, noi difendiamo anche la dignità personale di chi ci avversa.

20062015-IMG_5936Il popolo di piazza San Giovanni si è incontrato, e deve ora costituirsi. Non si tratta di scegliere insegne né aprire a tesseramenti. Si tratta di rimanere in un contatto diffuso e permanente su tutto il territorio italiano. Si tratta di comprendere la portata, anche locale, dell’ideologia Gender e di reagire così in modo spontaneamente coordinato. Bisogna diventare non solo un popolo manifestante, ma anche un popolo consumatore, un popolo telespettatore e anche un popolo elettore. Un popolo che sappia decidere in modo concorde e far sentire in modo unitario la propria voce. Senza stucchevole omologazione, ma con la consapevolezza di essere un corpo che, solo se unito, può centrare l’obiettivo per cui si è costituito tale: salvaguardare i diritti naturali della famiglia e quelli dei nascituri di poterne godere, innanzitutto conoscendo l’amore dell’uomo e della donna da cui ognuno di noi deve la premessa di ogni libertà e autodeterminazione. La propria esistenza.

Noi, proprio come Chesterton, non crediamo ad un fato che si abbatte sull’uomo qualsiasi cosa egli faccia; noi crediamo in un fato che vi si abbatte a meno che egli non faccia nulla. Sabato scorso a Piazza San Giovanni il popolo ha fatto la sua parte, clamorosa e ingombrante, in difesa dell’antropologia della famiglia. Il fato dovrà prenderne inevitabilmente atto. Che gli piaccia o no, la storia siamo noi.

Filippo Savarese, portavoce La Manif Pour Tous Italia

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COMITATO “DIFENDIAMO I NOSTRI FIGLI”: TUTTI A ROMA IL 20 GIUGNO PER DIRE STOP GENDER

FAMIGLIA: MOBILITAZIONE NAZIONALE IL 20 GIUGNO A ROMA
Manifestazione a San Giovanni su Gender nelle scuole e ddl Cirinnà

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“Per promuovere il diritto del bambino a crescere con mamma e papà, vogliamo difendere la famiglia naturale dall’assalto a cui è costantemente sottoposta da questo Parlamento, vogliamo difendere i nostri figli dalla propaganda delle teorie gender che sta avanzando surrettiziamente e in maniera sempre più preoccupante nelle scuole”. Il comitato “Difendiamo i nostri figli“, spiega così la convocazione a Roma per il prossimo 20 giugno di una manifestazione che si annuncia imponente a difesa dell’istituto del matrimonio, della famiglia composta da un uomo e da una donna, del diritto del bambino ad avere una figura materna e una paterna, senza dover subire già dalla scuola dell’infanzia la propaganda dell’ideologia gender definita da Papa Francesco “un errore della mente umana”. Spiegano i promotori: “Chiamiamo alla mobilitazione nazionale tutte le persone di buona volontà, cattolici e laici, credenti e non credenti, per dire no all’avanzata di progetti di legge come il ddl Cirinnà che dell’ideologia gender sono il coronamento e arrivano fino alla legittimazione della pratica dell’utero in affitto. Ci troveremo tutti in piazza a Roma, schierati a difesa della famiglia e dei soggetti più deboli, a partire dai bambini”. La manifestazione, che si terrà a piazza San Giovanni dalle 15.30, è promossa dal comitato “Difendiamo i nostri figli” a cui aderiscono personalità provenienti da diverse associazioni tra cui Simone Pillon, Giusy D’Amico, Toni Brandi, Filippo Savarese, Costanza Miriano, Mario Adinolfi, Jacopo Coghe, Maria Rachele Ruiu, Paolo Maria Floris, Alfredo Mantovano, Nicola Di Matteo. Portavoce del comitato è il neurochirurgo Massimo Gandolfini. Lunedì 8 giugno alle ore 12 all’hotel Nazionale di piazza Montecitorio si terrà la conferenza stampa di presentazione della manifestazione.

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STOP GENDER: TUTTI IN PIAZZA A ROMA IL 20 GIUGNO!

Ci siamo. Il livello di tollerabilità delle famiglie italiane della “colonizzazione ideologica” denunciata anche da Papa Francesco ha davvero raggiunto il limite. Sono passati due anni da quando La Manif Pour Tous Italia ha organizzato la prima manifestazione in assoluto in Italia contro il ddl Scalfarotto sul reato di opinione omofobica. Circa duecento persone nei pressi del Parlamento, nel caldo afoso, nell’indifferenza di tutti e soprattutto della stampa. Da allora La Manif Italia si è estesa su tutto il territorio nazionale con oltre 60 circoli territoriali, che monitorano l’infiltrazione dell’ideologia Gender nei consigli comunali, regionali e nelle scuole di ogni ordine e grado, organizzando eventi di dibattito e informazione per i cittadini ignari, nonché forme di protesta e contestazione pubblica. C’è in particolare uno sforzo che abbiamo avuto sempre a cuore: riunire in un’azione comune e congiunta tutte le organizzazioni  e le associazioni che si battono per la famiglia. La risposta all’ideologia Gender è e deve essere la risposta corale di un’intero popolo, che difende l’antropologia che lo fonda e che assicura il progresso nel rispetto integrale della persona umana. Il nostro unico obiettivo è sempre stato quello di dimostrare che quella per il diritto dei bambini di avere un papà e una mamma è davvero una battaglia “pour tous“, per tutti.

Questi anni di attività, insieme a tante altre associazioni amiche e compagne di viaggio, si concretizzerà ora finalmente in una imponente manifestazione di piazza, sabato 20 giugno alle ore 15 in Piazza San Giovanni a Roma. Una manifestazione che abbiamo insistentemente sollecitato per rispondere alla domanda pressante di decine di migliaia di famiglie incontrate in questi due anni che chiedevano una giornata per poter dire chiaro e forte che il diritto di educare i figli spetta alle loro famiglie in via prioritaria. Una manifestazione che sarà possibile per lo sforzo congiunto di tante persone comuni, madri, padri, insegnanti, psicologi, giuristi; persone comuni che vogliono restare libere di educare i loro figli alla bellezza della complementarietà tra l’uomo e la donna.

Questa manifestazione, come negarlo, non giunge a caso a fine giugno. Nei prossimi giorni inizierà infatti l’iter di approvazione del ddl Cirinnà sulle cosiddette “unioni civili“, un vero e proprio matrimonio gay con tanto di adozioni mascherate e apertura al riconoscimento dell’utero in affitto, del mercato internazionale di figli. Se il ddl Cirinnà sarà approvato, l’intero diritto di famiglia italiano sarà stravolto, a maggior danno del diritto dei bambini di crescere col loro papà e la loro mamma, e di non essere trattati come prodotti commerciali.

La manifestazione avrà dunque due obiettivi fondamentali: contrastare l’avanzata dell’ideologia gender nelle scuole e stoppare il ddl Cirinnà sulla rottamazione della famiglia. Se avete a cuore la libertà educativa e i diritti dei più indifesi, non potete mancare.

Vi aspettiamo a Roma, in Piazza San Giovanni, sabato 20 giugno alle ore 15!

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L’ITALIA RICORRE CONTRO LA SENTENZA CEDU SULL’UTERO IN AFFITTO!

“Abbiamo raccolto più di 30mila firme per chiedere al Governo di opporsi con forza alla sentenza della CEDU “Paradiso” che porta l’Italia nel grande mercato internazionale di figli tramite utero in affitto, e quindi siamo del tutto soddisfatti del risultato”. Lo afferma Filippo Savarese, portavoce de La Manif Pour Tous Italia, commentando il ricorso del Governo italiano contro la sentenza “Paradiso e Campanelli” del 27 gennaio scorso.

Con questa, la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva condannato l’Italia per l’allontanamento di un minore dalla coppia che lo aveva “acquistato” in Russia per 50mila euro con la pratica dell’utero in affitto.

“L’Italia ha sottratto il bambino alla coppia perché comprare i figli è un crimine tremendo – afferma Savarese – e nessun bambino deve crescere con chi ha offeso la sua dignità umana dandole un prezzo. La sentenza “Paradiso” impedisce agli stati di punire chi compra i figli, creando uno spazio di tolleranza giuridica intorno alla pratica barbara dell’utero in affitto”.

“Ci auguriamo che il Governo italiano tenga duro nel difendere davanti ai giudici la dignità dei nascituri, e che la Corte in secondo grado riveda radicalmente la propria giurisprudenza, o non avrà più niente da dire sul tema dei diritti umani. Ciò detto, quello che il Governo contrasta in Europa si sta infiltrando in Italia direttamente dal Parlameno: l’articolo 5 del disegno di legge Cirinnà sulle cosiddette unioni civili – vero e proprio matrimonio gay – apre inesorabilmente al riconoscimento dell’utero in affitto, e questo va evitato categoricamente”.

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Utero in affitto, La Manif Pour Tous Italia: Bene ricorso del Governo contro sentenza CEDU

Roma, 29 maggio 2015 – “Abbiamo raccolto più di 30 mila firme per chiedere al Governo di opporsi con forza alla sentenza della CEDU, che porta l’Italia nel grande mercato internazionale di figli tramite utero in affitto, e quindi siamo del tutto soddisfatti del risultato”. Lo afferma Filippo Savarese, portavoce de La Manif Pour Tous Italia, commentando il ricorso del Governo italiano contro la sentenza “Paradiso e Campanelli” del 27 gennaio scorso. Con questa, la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva condannato l’Italia per l’allontanamento di un minore dalla coppia che lo aveva “acquistato” in Russia per 50 mila euro con la pratica dell’utero in affitto.

L’Italia ha sottratto il bambino alla coppia perché comprare i figli è un crimine tremendo – afferma Savarese – e nessun bambino deve crescere con chi ha offeso la sua dignità umana dandole un prezzo. La sentenza “Paradiso” impedisce agli stati di punire chi compra i figli, creando uno spazio di tolleranza giuridica intorno alla pratica barbara dell’utero in affitto. Ci auguriamo che il Governo italiano tenga duro nel difendere davanti ai giudici la dignità dei nascituri, e che la Corte in secondo grado riveda radicalmente la propria giurisprudenza, o non avrà più niente da dire sul tema dei diritti umani”.

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